Illustrazione di Fill Illustration
Le uguaglianze, nella scienza, sono qualcosa di delicato. Durante il mio primo esame di fisica, in un primo anno di università altrimenti dominato da matematici e dai loro corsi, il professore mi interruppe e disse: «Siamo fisici, la direzione dei segni d’uguaglianza conta». Nella fisica e nelle scienze naturali l’uguale non è, al contrario del formalismo astratto della matematica, un simbolo che congiunga qualcosa alla sua sinistra con qualcosa alla sua destra e ne affermi pigramente, indiscriminatamente, la mutua identità. È piuttosto un narratore che delle due parti (il membro alla sua sinistra, quello alla sua destra) racconta una storia. Una storia che per esempio, dato il membro di destra, richiede l’introduzione di un nuovo personaggio (il membro di sinistra) che coincide con, o dipende da, o può essere messo in relazione a quanto compare a destra dell’uguale. Nelle scienze l’uguale definisce un flusso. Detta un ritmo. Ordina deduzioni e conseguenze.
Ma l’uguale rimane un simbolo matematico ed è nella dimensione matematica delle scienze naturali che davvero esiste. Come scriveva anche Galileo Galilei, la fisica è la descrizione dell’universo in termini matematici. È un linguaggio, quello matematico, che slegato dai vincoli della realtà fisica conduce verso nuove idee, scoperte, epifanie. Eppure la descrizione matematica dell’universo non è l’universo, come la mappa non è il territorio. È la lingua di dio e al tempo stesso, a differenza della lingua di dio, una cabala senza alcun potere sull’universo sensibile. Trasformare attraverso una reazione nucleare un pugno di materia in una sconfinata quantità di energia è alla nostra portata, se i conti sono giusti. È andare nella direzione opposta che si rivela più arduo, e scambiare i due membri nell’equazione che di massa ed energia definisce l’equivalenza, di per sé, non basta. Ridefinire su una lavagna la direzione in cui il tempo scorre non porterà indietro gli orologi. Esplorare la descrizione matematica di un universo a undici dimensioni non lo rende necessariamente più reale.
Non sappiamo da dove venga ciascuno di questi numeri, perché abbiano i valori che hanno, né se siano davvero costanti e abbiano gli stessi valori in tutto l’universo, in qualunque momento della sua storia. Ma, per ora, appare ragionevole assumere di sì.
Ci sono costanti, nella matematica dell’universo. Una manciata di simboli che ne costituiscono l’alfabeto elementare, assunti immutabili fino a prova contraria. Uno di questi è c, la velocità alla quale luce e radiazione si propagano nel vuoto cosmico. Nel solido modello dell’universo a larga scala, di tempo, energia e gravità fornito dalla teoria della relatività di Einstein, l’invariabilità della velocità della luce è un postulato fruttuosissimo ma intellettualmente scomodo. C’è poi ?, l’onnipresente simbolo che rappresenta l’apparentemente innocuo rapporto tra circonferenza e diametro d’un qualsiasi cerchio. C’è ?, la cosiddetta costante di Planck (divisa per 2?), la più piccola quantità di energia che possa essere scambiata da particelle e radiazione nel granulare e bislacco mondo microscopico descritto dalla meccanica quantistica. E ci sono e, la carica elettrica trasportata da un singolo protone; ?_0, la capacità dello spazio vuoto di concentrare e veicolare correnti elettriche; e infine ?, un numero che emerge spesso nella descrizione degli spettri atomici noto anche come costante di struttura fine.
Non sappiamo da dove venga ciascuno di questi numeri, perché abbiano i valori che hanno, né se siano davvero costanti e abbiano gli stessi valori in tutto l’universo, in qualunque momento della sua storia. Ma, per ora, appare ragionevole assumere di sì. A proposito di ?, Richard Feynman era solito dire che «È un numero magico, appendetelo al muro e preoccupatevene». Eppure, con ? sul muro a prendere polvere da decenni, anche l’approccio opposto sembra ormai giustificato: accettarlo così com’è e lasciare le preoccupazioni a filosofi e numerologi. Ciò che sappiamo a proposito di queste costanti è che hanno qualcosa a che fare l’una con l’altra. Quello che la fisica teorica dice è:
? = e2 / (4 ? ?0 ? c),
ovvero che ? può essere espresso moltiplicando o dividendo tra loro altre costanti. Nell’equazione della costante di struttura fine, alla destra dell’uguale di costanti ne compaiono cinque. Cinque costanti fondamentali, sottoinsieme della moltitudine di numeri “magici” che esistono in fisica, da cui è possibile ricavare ?. Ma quali cinque, tra le sei costanti di cui sopra, sono davvero fondamentali? Saltando l’uguale, la matematica permette equivalentemente di scrivere:
c = e2 / (4 ? ?0 ? ?)
o di portare a sinistra dell’uguale una qualsiasi delle altre costanti. È la velocità della luce c a dipendere da ?, o il contrario? È più fondamentale ? o ?_0? Cosa si mette alla sinistra dell’uguale, dopo una giornata di lavoro passata a calcolare e pulire lavagne, rivela sulla propria visione dell’universo molto più di quanto sarebbe scientificamente legittimo. L’equazione della costante di struttura fine è un test di Rorschach per menti analitiche.
Se questo articolo ti è piaciuto leggi le altre puntate de Tutto quello che avreste dovuto sapere sulla fisica del XX secolo, ma nessuno vi ha mai raccontato.
Episodio 1 – Vicky Cristina Copenaghen
Episodio 2 – C’è tutto un universo a sinistra dell’uguale
Episodio 3 – Telefoni, monete e la morte termica dell’universo
Episodio 4 – Quando Einstein aveva torto