Consigli musicali • Marzo
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Consigli musicali • Marzo

La la la la la la la.

Liberato, Nove Maggio

Drake o The Weeknd nati ‘ngopp ‘o Vesuvio. Avviso: questo brano mette dipendenza, e il mistero dietro all’autore del brano non fa che incrementarne l’hype. Una produzione così internazionale in Italia non la sentivamo da tempo. [L.G.]

 

Lucio Corsi, Bestiario musicale (Picicca)

Lucio è molto giovane ed è al suo terzo album. Otto brani, ciascuno intitolato ad un animale diverso, immersi in un’atmosfera sognante e filastrocchesca dove le bestie sono solo lo strato superficiale di un immaginario che ha molto più a che fare con gli uomini di quanto si possa pensare. Rarefazione freak (non perdetevelo in apertura dei Baustelle nell’imminente tour). [L.G.]

 

Tim Darcy, Saturday Night (Jagjaguwar)

Abbiamo conosciuto Tim Darcy come frontman dei canadesi Ought, i cui due album recentemente ci hanno fatto gridare al miracolo per una sorta di rinascita di certo art/post-punk. Come solista, l’influenza della band principale non manca (soprattutto in alcuni delay l’impronta è riconoscibile), ma si unisce al fantasma di Lou Reed – certi brani sono proprio à la White Light/White Heat – e a un animo da crooner scanzonato finora sopito. Godibilissimo. [L.G.]

 

LowlyHeba (Bella Union)

Il quintetto danese era già apparso sulle scene un paio d’anni fa con i primi singoli. Il debutto su LP mostra una band eclettica e con una apprezzabile padronanza nel destreggiarsi tra diverse atmosfere, ora quasi-jazz, ora dream-pop, o ancora post-punk. Eterogenei con identità. [L.G.]

 

Priests, Nothing Feels Natural (Sister Polygon)

Se c’è una sola speranza in seguito alla elezione di Trump, è quella che finalmente il punk in America torni ad alti livelli. Da Washington DC arrivano le prime avvisaglie, anche se la gestazione di quest’esordio è ben più risalente e tormentata rispetto all’arrivo del magnate alla Casa Bianca. Sarebbe facile avvicinare questo disco alle Savages o alle riot grrrls, ma in realtà tra art- no- e post-punk i Priests fanno un po’ il cazzo che gli pare, e lo fanno bene. [L.G.]

 

Xiu Xiu, Forget (Polyvinyl Record Company)

Dopo uno dei loro dischi più difficili e belli, Angel Guts: Red Classroom, e l’accurato e molto ben riuscito lavoro sulla colonna sonora di Twin Peaks, gli Xiu Xiu, tra i più importanti e longevi rappresentanti di quell’ormai fu sottobosco americano, tornano con un disco che prosegue il loro monastico modo di fare musica, che non cede niente e che certo non ha mai fatto accomodare l’ascoltatore. Forget è un disco solido e sofferto, con picchi davvero importanti. [M.M.]

 

Impossible NothingLexemenomicon

Dopo le folli quattro ore di Phonemenomicon (2016), il misterioso e senza nome producer texano che si cela dietro al moniker Impossible Nothing torna a stretto giro con una nuova giostra infernale di 26 tracce e altre 4 ore. Un viaggio ai confini con la follia in cui ogni canzone è una matrioska inesauribile di riferimenti e contaminazioni con la tecnica del patchwork hip hop a sostenere la mostruosa opera. [M.M.]

Sleaford Mods, English Tapas (Rough Trade)

La formula del duo di Nottingham è ormai collaudata e anche questo English Tapas non si muove dai sentieri conosciuti: drum machine che corre imperterrita, synth che sostituiscono il basso con flussi incostanti e poesia urbana politica e esistenziale. L’ultimo rigurgito punk veramente tale in un suono proletario che rappresenta i nostri anni. [M.M.]

 

Mostly Other People Do The Killing, Loafer’s Hollow (Hor Cup)

Kevin Shea alla batteria, Moppa Elliott al basso e Jon Irbabagon al basso compongono il nucleo centrale del combo jazz, arricchito da amici che si cimentano al piano, al banjo e al trombone. Un suono preciso, realizzato da musicisti professionisti, che si muove attorno agli autori amati da Elliott. Spicca, su tutte, la suite dedicata al monologo joyciano della signora Bloom che chiude l’Ulisse. [M.M.]

 

Piano Magic, Closure (Second Language)

Il disco che segna la conclusioni di una delle avventure più belle degli ultimi 20 anni di musica indipendente, segnata da una continua ricerca sonora tra post-rock, musica ambient, shoegaze ed elettronica, sempre fuori dagli schemi e da addomesticamenti vari. E così, spazio alla nostalgia, per il miglior congedo che ci si poteva attendere dal gruppo di Glen Johnson, con la lacrimuccia che cala sul finale della conclusiva I left You Twice, Not Once. [M.M.]

 

Questa rubrica è curata da:

Livio Ghilardi: Cresciuto nel sud-est barese, vive a Roma per colpa di Verdone e Venditti. Giurista per caso, scrive di musica e cultura pop per Dance Like Shaquille O’Neal e Zero.

Matteo Moca: Nato nel 1990, vive a Pistoia e studia a Bologna. Studioso di Letterature comparate, fondatore di una rivista cartacea mensile di musica, cinema e letteratura dal nome Feedback Magazine, morta postuma 2013. Collabora a diverse redazioni online (tra cui 404filenotfound, Sonofmarketing, Tellusfolio). Lacanian and Proust addicted.

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