Un nuovo suono blu — Intervista con i Blue Lab Beats
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Un nuovo suono blu — Intervista con i Blue Lab Beats

Se chiudessimo in una stanza un jazzista e un produttore/beatmaker tra loro sconosciuti, all’inizio ci sarebbe forse un po’ di imbarazzo. Ma alla riapertura della porta, starebbero probabilmente lì a parlare amabilmente dell’influenza di J-Dilla sui batteristi di nuova generazione.     Questo è un po’ il sunto del percorso dei Blue Lab Beats: NK-OK, […]

Se chiudessimo in una stanza un jazzista e un produttore/beatmaker tra loro sconosciuti, all’inizio ci sarebbe forse un po’ di imbarazzo. Ma alla riapertura della porta, starebbero probabilmente lì a parlare amabilmente dell’influenza di J-Dilla sui batteristi di nuova generazione.

 

 

Questo è un po’ il sunto del percorso dei Blue Lab Beats: NK-OK, aka Namali Kwaten, produttore, diciotto anni, e Mr DM, aka David Mrakpor, polistrumentista, ventitré anni. Infatti, come mi raccontano loro stessi, «siamo entrambi del nord-ovest di Londra, ci siamo conosciuti in un circolo giovanile quando avevamo tredici e diciotto anni, quindi sono cinque anni che suoniamo insieme. Come Blue Lab Beats però lavoriamo da un anno e mezzo. La decisione di lavorare insieme è nata dalla convinzione che il nostro lavoro si completasse, avendo anche gusti simili».

In un anno e mezzo appena i due hanno avuto il tempo di rilasciare un primo EP nel 2016, Blue Skyes, seguito subito dopo da Freedom; questi lavori li hanno lanciati alla grande nella ricchissima scena jazz della capitale inglese, portandoli in contatto con tutti i musicisti e le personalità più interessanti di quest’ultima, come dimostrato dal loro album di debutto, Xover, rilasciato il 30 marzo di quest’anno. Nel disco troviamo, infatti, tantissimi featuring del calibro di Moses Boyd, Nubya Garcia, Ashley Henry, NÉRIJA, per citarne solo alcuni, tutti artisti freschi di lavori pubblicati negli ultimi mesi. La lista dei collaboratori è comunque veramente lunga: «la scelta delle collaborazioni è qualcosa che facciamo in modo molto naturale. Semplicemente, mentre scriviamo una traccia, immaginiamo allo stesso tempo quale artista potrebbe darle quel qualcosa in più».

 

 

Come raccontavamo in questo pezzo, la scena jazz londinese sta vivendo un momento di forma con pochi precedenti; i Blue Lab Beats si inseriscono perfettamente in questo Rinascimento, occupando un posto importante e personale, trattando sonorità a metà fra l’hip-hop, il grime, il jazz e il nu soul, il tutto rielaborato con una freschezza dovuta sicuramente in parte alla scandalosa giovane età dei due, in particolare di NK-OK, produttore di beat già dalla tenera età di 11-12 anni. Mr DM ha invece l’abilità di passare dalla chitarra alle tastiere in modo del tutto naturale, mantenendo inalterato un gusto eccezionale per le melodie e per la famosa «nota giusta al momento giusto». «È sempre d’ispirazione vedere persone di Londra che portano avanti il proprio progetto, viaggiare in paesi diversi diffondendo il “messaggio”. Per noi che l’abbiamo vissuta da dentro, questa esplosione della scena non è una sorpresa, ne abbiamo seguito la crescita nel tempo e la vediamo come una naturale evoluzione di un processo di crescita».

 

 

In questo bel cortometraggio documentario sul loro primo EP, realizzato da Dazed, confermano un’impressione che non è sfuggita agli ascoltatori più attenti di questa ondata di musica proveniente dal Regno Unito: «La fonte del suono è abbastanza americana, ma poi l’energia reale in cui ognuno si trova e che ci mette è decisamente di Londra». Per loro stessa ammissione è difficile spiegare a parole questo concetto se non lo si vive, «È come se l’energia pura e primitiva di tutti i diversi generi che si suonano a Londra, amalgamati fra loro, ne creasse una nuova e distinta».

In ogni caso c’è anche molto dei loro ascolti e delle loro personalità in ciò che fanno: «Ascoltiamo un’infinità di generi diversi, prendendo ispirazione da album di tutti i tipi. Cerchiamo di incorporare tutte queste influenze nel nostro stile». Una cosa che salta subito all’orecchio, fra beat in stile Kaytranada e Knxwledge, e il grandissimo spazio a temi e interventi solistici di stampo puramente jazz, che siano suonati da loro stessi o dai tanti amici-collaboratori. Una doppia natura che, come si diceva sopra, fa stare i Blue Lab Beats perfettamente a loro agio in diversi contesti, che li avvicina e differenzia allo stesso tempo da tutti gli altri: «Quello che ci rende simili al resto della scena è la tendenza a mescolare diversi generi. La cosa che ci distingue è sicuramente l’uso delle sonorità hip-hop, dei samples e delle batterie elettroniche; a questi elementi moderni però mescoliamo vecchie armonie jazz, così come del funk e del soul. Dal vivo ciò si riflette nell’uso di drum machine mescolato a tastiere, basso e chitarra suonati live».

 

 

Esatto, dal vivo. I due sono in tour dalla pubblicazione del disco, e «Sta andando veramente bene, abbiamo appena suonato in Belgio, a Gent, e in Francia, a Lille. Ci siamo divertiti veramente tanto ad entrambi i concerti, il pubblico è stato fantastico in tutte e due le occasioni». In Italia avremo una doppia occasione per ascoltarli dal vivo: al Biko di Milano, venerdì 18 maggio, e all’Alcazar di Roma, sabato 19. Con l’Italia c’è un rapporto che parte dai concerti ma va anche oltre, «L’anno scorso abbiamo aperto i concerti degli Heliocentrics a Bologna, Roma e Milano. Dei vostri artisti ci piacciono molto Alba Plano, di cui abbiamo realizzato anche un remix di un brano da pochissimo, e Davide Shorty, lui è veramente bravo».

Pensare a un futuro per la carriera dei Blue Lab Beats fa girare la testa per una serie di motivi: dalla giovanissima età dei due, al talento già perfettamente sviluppato e definito, al contesto estremamente creativo e in ascesa in cui sono cresciuti e sono immersi. Per ora quindi meglio concentrarsi sul presente e sul non perderli dal vivo, d’altronde ci pensano loro a pensare al futuro: «Anderson Paak, Terrace Martin, Knxwledge, Kaytranada e Missy Elliot sarebbero le collaborazioni future da sogno». Le idee sono chiare, gli obiettivi importanti e decisamente non lontani dalla loro portata.

Sono sicuro, però, che i due li affronteranno con le stesse tre caratteristiche, che mi dicono descrivere e definire il loro colore d’adozione, il blu, che ricopre interamente il loro studio-casa: «Calma, profondità, nostalgia».

Giulio Pecci
Classe ‘96, studia Lettere e Musica a La Sapienza di Roma. Scrive di musica e cultura, organizza concerti Jazz e cerca di trovare il tempo di suonare la chitarra. Alla costante ricerca del decimo a calcetto.
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