Quando ho deciso di intervistare Postino l’ho fatto soprattutto per curiosità: la sua storia mi ha intrigato perché era anomala, totalmente in controtendenza rispetto al panorama Indie attuale. Mentre infatti la maggior parte dei cantanti si sforzano di restare sul pezzo, di far uscire singoli su singoli per poi includerli nel solito album annuale, Postino dopo il primo disco si è ritirato dalle scene. Puff, svanito, andato, nonostante avesse riscosso un buon successo col suo Latte di soia, uscito nel 2018.
Samuele Torrigiani, in arte Postino, non è comunque sparito nel nulla nel vero senso dell’espressione. No: sappiamo esattamente dove sia e cosa faccia ora. Conosciamo sia strada che ha lasciato (la musica), sia quella che ha intrapreso: la medicina. Lo ha spiegato lui stesso in un post su Instagram. C’è poco da aggiungere.
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Insomma, ho deciso di scambiare quattro chiacchiere con lui perché dall’esterno mi sembrava un personaggio molto interessante. Sensazioni confermate: quello che esce fuori dalle sue parole è il ritratto di un artista Indie nel verso senso del termine, attaccato alla sua piccola etichetta, ai suoi ritmi, alle esigenze della sua scrittura. Un cantante che, quando si tratta di musica, non scende a compromessi.
Prima domanda, banale ma necessaria: come stai? Come stai vivendo questo periodo folle?
Sto bene, anche se è stato veramente strano il fatto che come ho smesso di suonare è scoppiata una pandemia, proprio nel momento in cui ho deciso di fare il medico. Mi sono trovato a iniziare a lavorare in ospedale dopo sei anni di medicina in piena emergenza sanitaria: non c’era momento migliore per iniziare.
Io comunque sono stato relativamente fortunato perché lavoro in psichiatria all’ospedale di Pisa, quindi in un reparto Covid-free. Non mi posso vantare di aver fatto l’eroe, come invece lo sono stati (e lo sono ancora) colleghi che lavorano in reparti Covid sin da subito. A loro sì che vanno fatti i complimenti, visto che lavorano lì col timore di portarlo a casa, alle loro famiglie.
Io per ora sono abbastanza tranquillo, poi uno a un certo punto si rassegna, non si può vivere con paura e ansia costanti. Cerchiamo di vivere rispettando le regole, facendo di tutto per non contagiare noi stessi né gli altri.
Questa intervista è nata da un mio tag su Instagram su una tua canzone (Blu), al quale tu hai risposto. Ti continuano a taggare? Ti continuano a scrivere?
Non me lo aspettavo nemmeno io, pensavo che mollando la presa tutto si affievolisse. In realtà da quando ho smesso i fan si sono accaniti ancora di più: ogni giorno, anche a distanza di un anno, ricevo messaggi, storie, e questo ti sprona a fare pensieri sul futuro, a quando finirò la specializzazione… vedo che c’è uno zoccolo duro di fan, un pubblico che mi aspetta. Comunque è difficile fare previsioni da qui a tre anni, chi lo sa… forse le cose cambiano. Può essere che nel frattempo scoppiano altre sei o sette pandemie.
Ecco, allora magari torna a cantare, visto che a quanto pare il tuo ritiro dalle scene e lo scoppio della pandemia sono coincisi.
Questa cosa me l’ha fatta notare un ragazzo che mi ha scritto in chat (di solito li leggo tutti, con calma, e cerco di rispondere a ciascuno): questo ragazzo mi ha fatto notare che il 17 novembre 2019 ho smesso di cantare e che sempre il 17 novembre c’è stato il primo caso ufficiale di Covid in Cina. E quindi mi ha iniziato a dire che era colpa mia, che dovevo tornare a cantare…
Te lo chiede il Ministero della Salute, insomma, non i fan. A proposito, provo a farti sentire un po’ in colpa: non pensi di aver abbandonato i tuoi fan? Questo mese su Spotify hai avuto più di 120.000 ascoltatori, me compreso, che aspettano novità. Non senti, che so, una sorta di responsabilità nei loro, nei nostri confronti? La tua musica era diventata anche la nostra musica.
Da un lato c’è il timore, perché si creano della aspettative: il secondo album è il più difficile per tutti, perché ti devi confermare, se non fare meglio. Se stecchi ti dai un po’ la zappa sui piedi e vai a perdere quello che hai costruito col primo album. Io sono timido e riservato nella vita privata, non ero abituato a sentire pressione, persone che aspettano le mie canzoni, che poi magari le dedicano ad altri e diventano colonne sonore di storie d’amore in tutta italia. Questo l’ho iniziato a capire nei concerti, quando alla fine entravo in contatto con persone che mi raccontavano aneddoti legati alle mie canzoni.
Io comunque non sento di aver abbandonato nessuno: il rapporto sui social cerco di mantenerlo, durante il primo lockdown ho fatto anche un inedito su Instagram. In futuro chissà, potrei farlo di nuovo, magari lanciando un altro inedito…
Social a parte, stai comunque comunque continuando a scrivere cose?
In questo periodo sto scrivendo, ma in realtà non molto e questo è preoccupante. Non so se a quest’ora avrei già fatto un album anche non lavorando: io sono lento nello scrivere e nel metabolizzare, devo vivere delle situazioni per poi poterle scrivere. Se non vivo diventa difficile scrivere a comando canzoni tanto perché devo fare il secondo album: il rischio è quello di fare (come successo ad altri) un secondo album di plastica, costruito solo per vendere e non perché vissuto. Le canzoni del mio primo album le ho scritte in sette anni, undici canzoni! Ecco, non è che sia uno che scriva molto. Ho alcuni brani da parte, ma non sono sufficienti per fare un secondo album…
Meglio comunque farne poche ma buone…
Le canzoni alla fine si scrivono in un pomeriggio, ma devi aspettare l’ispirazione, il momento. C’è chi riesce a scrivere canzoni a comando, io non riesco. E comunque per me non arriva la stessa sincerità.
In un’intervista di un paio di anni fa hai detto che ti piacerebbe scrivere testi per altri: hai cominciato a farlo? C’è un cantante in particolare che ti piacerebbe sentire cantare una cosa scritta da te? Ho letto che ti piace molto Brunori…
Più che scrivere per altri, mi piacerebbe dare mie canzoni a qualcun altro. Fare l’autore, cucire addosso a una persona una canzone, non credo mi riesca… bisogna essere molto bravi per risultare veri, come la canzone, che non risulti di plastica… questo è l’effetto che mi fanno le canzoni in radio, scritte a tavolino, per vendere. Mi piacerebbe scrivere canzoni per me, per poi darle ad altri per far andare avanti altri progetti… però bisognerebbe scriverne tante, io invece riesco a malapena a scriverne per me. Per quanto riguarda Brunori… mi accontenterei anche solo di collaborarci!
E il contrario? Canteresti canzoni scritte da altri?
Non ti dico di no, ma devo sentire il brano, vedere se lo sento mio o se sembra una cavolata fatta per vendere. È già capitato, come è capitato che qualcuno mi chiedesse dei brani, ma alla fine non è andato in porto niente… sono rigido: non lo facendo per lavoro, non devo campare con la musica, la faccio solo per piacere.
Questo ti rende libero, non scendi a compromessi.
Sì, e questo è l’unico modo con cui riesco a fare musica. Subito, appena è partito bene il progetto, sono arrivate major, manager… già solo quella pressione lì mi faceva passare la voglia di cominciare. Io sono rimasto con la mia etichetta piccola, di periferia, con le stesse persone di sempre, che mi concedono i miei tempi, che sanno come lavoro. Mi piace quando è tutto più familiare.
E i feat?
A me non piace tantissimo, è diventata una strategia di marketing, per vedere di più, per dare visibilità a più artisti. Fatta in quell’ottica lì no, ma se trovo un artista che stimo, col quale instaurare un rapporto, magari a cena… deve essere spontaneo.
Ora hai deciso di prendere la strada della medicina, abbandonando per il momento la musica. Ti è mai capitato che una passione influenzasse l’altra? Nel prossimo album, ammesso che ce ne sia uno, potresti cantare di visite e reparti?
Già nel primo album, scritto durante gli anni di medicina, ci sono richiami e metafore… sono edulcorate e possono essere capiti solo da pochi, come il “cuore blu”, nato per il cuore deossigenato, a cui mancava l’aria. Ma anche Miope, il racconto di un malato psichiatrico, tutto metaforizzato, con riferimenti a Pirandello… oggi dei brani che sto scrivendo sono ispirati a storie che ho vissuto o sentito raccontare, facendo psichiatria di storie se ne sentono tante… però poi te l’ho detto, quando senti una storia che non hai vissuto diventa difficile metterla in musica.
Due domande finali, secche. La prima è: hai in mente di tornare?
Sì, penso proprio di sì. Ho ancora qualcosa da dire, se avessi già detto tutto non ne sentirei l’esigenza. Penso che le canzoni che ho da parte siano un gradino in più in alto rispetto alle precedenti, a livello testuale, di profondità, di temi toccati… più cantautorali, ecco. Avrei voglia di farle sentire, poi potrebbero non piacere. Comunque quello di oggi è un Postino diverso, un Postino trentenne. Se prima c’era Anna ha vent’anni, oggi c’è “Anna ha trent’anni”.
Insomma, ad oggi ti dico di sì, tornerò. Poi vediamo, tre anni son tanti… questo primo anno è volato, neanche me ne sono reso conto. Tutto il mondo della musica è un po’ fermo, bloccato allo scorso anno e ci resterà finché durerà questa situazione. È tutto sospeso, e forse per questo sono ancora a galla. Se fosse stato un anno normale sarebbero usciti altri cento artisti, mille album, concerti… magari sarei stato dimenticato.
Secondo me no: hai uno stile riconoscibile, con un’impronta forte. In un panorama Indie molto piatto, le tue canzoni sono autentiche, con uno stile che resta. Comunque, altra domanda e chiudiamo: se alla fine ti trovassi a decidere tra medicina e musica, cosa sceglieresti?
(Ride) … spero che non ci sia mai la necessità di dover fare di nuovo questa scelta. Credo si possano fare entrambe, con i tempi dovuti. Ma io comunque non avrei avuto altri tempi, non avrei comunque fatto mille concerti in un anno, sempre in giro… sono una persona pigra, che ama stare nelle sue cose. Credo sia possibile conciliare le due passioni, senza far uscire un album all’anno. Che poi è una moda recente: prima c’era un album ogni tre, quattro o cinque anni, quando avevi qualcosa da dire. Per me è difficile fare un album in un anno, perché poi rischi che escano cose uguali, se non addirittura peggiori rispetto all’album precedente.
Parli proprio da vero Indie.
Io non avrei saputo fare diversamente da così: avrei fatto comunque musica in maniera totalmente indipendente, perché voglio rimanere autentico. Quando mi avevano già dato delle tempistiche, «facci un brano entro tot»… non avevo scritto neanche una parola e gli ho detto no, non se ne fa niente. Io non scrivo a comando.