Ogni mese i redattori di Ludica ci parlano dei migliori videogiochi che hanno avuto modo di provare su PC e console.
Beholder
Warm Lamp Games
Vi trovate in un oscuro, ucronico e irrimediabilmente orwelliano 1984, dove un governo dal pugno durissimo tiene sotto scacco la libertà di ogni cittadino. «Many citizens still thinks their private life is their own business» sono le programmatiche parole di Mario Hempf, Ministro degli Alloggiamenti e vostro punto di riferimento per quel che è il vostro ingrato lavoro. Impersonerete Carl Stein, novello amministratore di un tetro condominio in cui ogni inquilino sarà perennemente sorvegliato – e proprio da voi: ventiquattro ore su ventiquattro, e con ogni mezzo: telecamere installate negli appartamenti, incursioni furtive, occhiate nascoste attraverso gli spioncini.
In Beholder – Complete Edition lo scopo del gioco è infatti quello di barcamenarsi tra la gestione del condominio (riparazioni, affitti e controllo della buona condotta dei residenti), esecuzione dei crudelissimi ordini del Governo (spesso si tratterà di incastrare qualche abitante del condominio e di raccogliere le le prove per mandarlo in galera) e, ultima ma non meno importante, l’armonia della vostra famiglia, composta, oltre a Carl, da sua moglie Anna e dai figli Patrick e Martha. Il gioco si pone all’incrocio tra un gestionale e un’avventura punta-e-clicca: come detto, dovrete tenere sotto controllo i bilanci del condominio e tener conto di chi ci abita; per portare a compimento le quest, dovrete invece percorrere in lungo e in largo l’edificio, scandagliare gli appartamenti, rovistare tra armadi, sedie e tavolini, grazie ai classici menù dall’immancabile lente d’ingrandimento. Altra componente importante del gioco è quella da GdR: saranno molto importanti i dialoghi e le interazioni con gli altri inquilini, al fine di cogliere indizi sulle quest in atto e sbloccare nuovi compiti che potranno servire per guadagnare soldi extra o “punti stima” – parametro essenziale per far sì che sia il Governo, sia gli abitanti del condominio, rispondano in modo positivo alle vostre richieste, allontanando scenari che, senza spoilerare nulla, coinciderebbero con quello che comunemente si potrebbe chiamare Game Over.
Per quanto riguarda l’aspetto grafico, le indicazioni iniziali (quelle su un’oscura, orwelliana ucronia) sono messe in risalto da una grafica che usa pochissimi colori, quasi fosse tuto in scala di grigio; anche i personaggi sono in pratica delle ombre nere, che scivolano lungo un’asse orizzontale (la visuale è quella frontale, un 2.5D che permette delle brevi escursioni in profondità); l’unica licenza usata per la loro caratterizzazione, oltre ai dialoghi e ai borbottii senza significato (alla The Sims, per intenderci), sono gli occhi, bianchi, che assumono varie forme a seconda degli stati d’animo, e i dettagli unici, come per esempio il mazzo di chiavi passepartout legato in vita che adorna la silhouette di Carl. Dopo la panoramica iniziale non serve molto altro per immergersi nel gameplay: all’inizio potrà in effetti sembrare lineare, con la dinamica assegnazione del compito-risoluzione che tende a proporsi facilmente nella prima ora di gioco, ma ci si accorgerà subito che ogni compito, man mano, potrà esser svolto in maniera diversa, applicando una scelta che porterà il gioco in direzioni opposte, dando vita a ramificazioni interessanti – quindi, una rigiocabilità assicurata. Un consiglio? Anche se svolgete alla lettera i compiti assegnati dal Governo, fate attenzione a come potrebbero reagire le altre persone del condominio. Eviterete brutte sorprese. Ah, e un’altra cosa: non trascurate la famiglia. Vive su equilibri molto delicati.
Stefano Felici ha provato Beholder su PlayStation 4.
Black Paradox
(Fantastico Studio)
Black Paradox è uno shoot’em up a scorrimento orizzontale sviluppato dal team italiano di Fantastico Studio. È ambientato nello spazio (scuola R-Type) con elementi da bullet hell, ovvero in cui si diventa pazzi a schivare proiettili degli sgherri che sparano prima di arrivare ai boss di fine livello, sette in tutto. La nostra astronave (una Delorean) non esplode al primo colpo preso ma la sua armatura ha la sua barra di energia; colpendo i nemici si carica il potere del “black paradox”, ovvero l’apparizione di un’ astronave da un’altra dimensione che ci da manforte; l’astronave può essere migliorata attraverso l’acquisto di chip (ne può montare fino a quattro) che migliorano attacco, energia, o danno bonus vari (possibilità di sparare missili, schivare, o di sparare all’indietro) con i soldi ottenuti dalle taglie dei supercattivi o dei nemici semplici.
Rifacendosi a tutta una schiera di titoli arcade traslati nel 2018, Black Paradox non delude sotto dei punti fondamentali: la giocabilità è molto alta, i comandi precisi e semplici, la grafica è sofisticata ma senza che appaia ipermoderna, il sistema di gioco è semplicissimo con una storia ridotta all’osso e mille mila astronavi nemiche da colpire. Inoltre ci sono delle chicche da retrogamers come il finto giapponese del nome dei cattivi e delle armi che si incontrano che ricorda cose tipo “evimascingah” di Metal Slug. Il richiamo agli anni ’80 è forte (forse troppo: comandiamo una Delorean con una colonna sonora synthwave e grafiche a colori neon o da vhs) ma l’aumento delle statistiche e abilità sono declinate in chiave moderna. Avete presente il sistema di livellaggio di Rogue Legacy? Devi morire tot volte per avere degli upgrade necessari a smettere di morire come un cretino nelle prime stanze; in Rogue Legacy questo sistema, per sé pure frustrante, è mascherato dal sistema delle eredità, dei figli, e dal mondo di gioco che si ricrea sempre simile a sé stesso ma sempre diverso.
In Black Paradox il sistema è simile: non aspettatevi di vincere esclusivamente grazie alle vostre abilità dalla prima volta che giocate, ma c’è un sacco di grinding da fare per ottenere chip più potenti e per arrivare più in fondo. Questo allunga la giocabilità di tantissimo ma rischia di annacquare l’esperienza di gioco; fortunatamente i livelli sono sempre diversi, quindi ogni volta che si ricomincia è una sfida diversa e può capitare di morire anche se ben equipaggiati già nei primi minuti di gioco. Nonostante questo elemento roguelike manca qualcosina per poterlo accostare a quest’etichetta (forse una certa sistematicità dei livelli o un sistema di potenziamenti un po’ più profondo), e forse c’è da applicare qualche bilanciamento che renda l’esperienza meno competitiva ma allo stesso tempo un pelino meno frustrante (quella dello sforzo/risultati è una linea sottilissima e i ragazzi di Fantastico Studio l’hanno quasi azzeccata) ma Black Paradox resta un ottimo gioco se siete appassionati del genere, e un buon gioco se non lo siete.
Mattia Pianezzi ha provato Black Paradox su Mac.
Deiland
Chibig
La prima cosa che salta in mente giocando a Deiland, sviluppato con l’aiuto di una campagna Kickstarter dalla spagnola Chibig, è “Il piccolo principe”. Il nostro protagonista si chiama Arco, indossa mantello e abiti regali e vive da solo su un pianetino che si può percorrere in meno di un minuto. Proprio come il libro di Antoine de Saint-Exupery, l’immaginario di Deiland punta sulla poetica delle piccole cose: Arco sviluppa presto un legame di simbiosi col suo pianeta, nel quale troviamo laghi, alberi, rocce e una misteriosa costruzione.
La meccanica è quella del sandbox, ormai nota agli appassionati, ma visti gli spazi limitati la troviamo svuotata dal suo aspetto esplorativo: una quest dopo l’altra Arco dovrà costruire case, strutture e utensili, coltivare i campi, preparare il cibo, difendersi dai meteoriti e da minuscoli alieni. Il ciclo è ripetitivo per chi conosce il genere, ma c’è una buona varietà di opzioni e i dialoghi coi personaggi secondari arricchiscono l’esperienza: si tratta di mercanti ed esploratori da cui apprendere poco per volta dettagli sulla natura di Arco e del pianeta, al quale anche noi finiamo presto con l’affezionarci.
Se il design minimale è sicuramente l’aspetto più riuscito e caratteristico di Deiland, con un’idea grafica ben realizzata, dal punto di vista narrativo il gioco non sembra esprimere il proprio potenziale. La seconda metà di Deiland, quella più affine al gioco di ruolo, dà l’impressione di concludersi troppo presto lasciandoci il desiderio di scoprire qualcosa di più sui “pianeti minori” – perché il nostro non sarà l’unico – e sui loro abitanti. La casa produttrice si rivolge a un pubblico molto giovane a cui Deiland può offrire un’ottima introduzione al mondo dei sandbox; un’esperienza piacevole anche per il giocatore più esperto, e particolarmente gradevole per gli occhi, a patto di sopportare un ritmo che si muove sicuro sui binari del semina-raccogli-costruisci con poco approfondimento per gli spunti offerti dalla trama.
Andrea Cassini ha provato Deiland su Playstation 4.
Slay The Spire
Mega Crit Games
Ancora in Early Access su Steam ma già piuttosto completo, Slay The Spire è un originale incontro tra giochi di carte e roguelike. Il giocatore deve affrontare tre dungeon dalla struttura casuale, tutti pieni, come da tradizione, di nemici più e meno ostici da affrontare, di tesori da scoprire, di negozi in cui modificare il proprio equipaggiamento composto da carte, oggetti e pozioni, e di incognite che possono comportare bonus o malus di varia natura. Si parte con un personaggio, l’Ironclad, ma presto se ne avranno a disposizione altri due: la Silent e il Defect. Ogni personaggio ha un set di carte personale, e questo vuol dire che Slay The Spire può essere affrontato in tanti modi diversi.
Il bilanciamento è diverso per ogni personaggio, perché l’Ironclad è votato soprattutto all’attacco, la Silent alla difesa, e il Defect a quello che in Magic: The Gathering si definirebbe il controllo. Ogni set è composto da carte offensive, altre difensive, e poi da poteri e abilità, tutte capaci non solo di sviluppare interessanti sinergie tra loro, ma anche con le pozioni e gli oggetti a disposizione. I combattimenti sono a turni, e una volta sconfitto il nemico si ottengono, ma non sono obbligatorie, una nuova carta a scelta, una pozione e una quantità d’oro da spendere nei negozi. Espandere il proprio mazzo non è sempre una buona scelta, perché avere molte carte significa anche pescare meno di frequente le migliori e avere più raramente una mano che permetta combinazioni efficaci. Con più di 200 carte in totale, è davvero difficile che Slay The Spire possa risultare ripetitivo.
Gli sviluppatori, che continuano ad aggiornare il gioco con cadenza settimanale, sono riusciti a trovare il giusto punto d’incontro tra le due componenti del gioco; il deck building perfetto è impossibile da conseguire e viene mortificato dalla casualità tipica dei roguelike, che esalta però la capacità del giocatore di partire con un piano e aggiustare poi la propria strategia in base a quello che riuscirà a trovare nel corso della partita. Slay The Spire è il tipico titolo che diventa sempre più divertente man mano che si prende confidenza con le meccaniche di gioco: che si riesca a vincere, sbloccando un nuovo livello di difficoltà, o che si sia costretti a ricominciare da capo sperando di avere sia le intuizioni giuste che quel pizzico di fortuna sempre necessario, il passo successivo sarà comunque il medesimo: pensare già alla prossima partita.
Gilles Nicoli ha provato Slay The Spire su Linux.
Train Valley 2
Flazm Interactive Entertainment
Anche se il tema ferroviario è tradizionalmente legato al genere gestionale, e lo è sin dai tempi del primo Railroad Tycoon di Sid Meier, lo studio lituano che ha sviluppato Train Valley lo ha usato per creare un puzzle game tanto semplice quanto ben congegnato: in ogni livello ci sono alcune stazioni già date, e al giocatore spetta il compito di costruire i binari, far partire i treni e gestire gli scambi in modo che i convogli ferroviari non si scontrino tra loro e arrivino sempre alla giusta destinazione. Train Valley 2 riprende quasi tutto dal gioco precedente, ma ne rifinisce alcuni aspetti: la novità principale è che treni e stazioni non sono più distinti da colori diversi ma da specifiche produzioni. Dunque non bisognerà più portare il treno blu dalla stazione rossa alla stazione blu, ma si faranno partire ad esempio lavoratori dalle città verso fabbriche di gomme, e poi carichi di gomme verso fabbriche di automobili, e così via.
Una delle migliori scelte di design riguarda la gestione della difficoltà: i livelli non sono mai troppo complicati da risolvere e ci si può godere il gioco e la sua grafica colorata con rilassatezza; una serie di cinque obiettivi supplementari, necessari a ottenere cinque stelle, va però a complicare le cose, richiedendo ad esempio di non far mai scontrare i treni, di non farne mai arrivare uno nella stazione sbagliata, e di completare il livello entro una certa quantità di tempo. Rispettare le cinque condizioni contemporaneamente cambia del tutto il gameplay e alza di molto il livello di sfida, e in un mondo ludicamente più maturo e avanzato ottenere cinque stelle in tutti i livelli di Train Valley 2 andrebbe messo in bella evidenza sul proprio curriculum vitae.
Nonostante sia ancora in Early Access su Steam, e dunque tutt’altro che completo (al momento ci sono 20 livelli sui 50 previsti, 4 locomotive su 18, 21 tipi di vagoni su 35), Train Valley 2 sembra già il gioco che il suo predecessore sarebbe dovuto essere. L’attuale scarsità di contenuti è in parte compensata grazie all’editor di livelli e all’integrazione con lo Steam Workshop: la community ha già creato quasi duecento nuovi scenari, alcuni dei quali in grado di rivaleggiare con quelli presenti nel gioco (provare Gridlock per credere).
Gilles Nicoli ha provato Train Valley 2 su Linux.