Ogni mese i redattori di Ludica ci parlano dei migliori videogiochi che hanno avuto modo di provare su PC e console.
Akane
Ludic Studio
Akane inizia con la resa dei conti. Il tutorial, ambientato nel 2098, ci insegna tutte le mosse necessarie per combattere. Il gioco vero e proprio, l’anno questa volta è il 2121, vede la protagonista, nell’arena di una futuristica Mega Tokyo, pronta a morire solo dopo aver a sua volta ucciso quanti più nemici possibile, tutti appartenenti alla mafia giapponese. Nel frattempo, cosa sarà successo? Quali eventi avranno portato a questo drammatico finale? Una storia, è evidente, ci deve essere, ma è rimossa dal gioco: resta materiale a disposizione per l’immaginazione del giocatore, o per il futuro eventuale sequel di un piccolo e violento titolo arcade slasher in pixel art che può diventare di culto.
Il concept del gioco è inizialmente nato alla game jam Ludum Dare 39 intorno alla fusione di due temi: samurai e cyberpunk. Successivamente è stato sviluppato in direzione della forma attuale in occasione del Neon Challenge promosso da Unity. Inutile dire quanto l’illuminazione (per chi sia interessato agli aspetti più tecnici, c’è un bel post a riguardo del team brasiliano di sviluppatori) contribuisca a creare l’atmosfera di Akane, alla quale contribuisce anche la potente colonna sonora di Cybass, che ricorda quella di Hotline Miami. L’arena, unico vero ambiente del gioco, è dunque piena di scritte al neon, droni, grandi schermi pubblicitari luminosi, oggetti in fiamme, suggerendo una società violenta e decadente che rimanda direttamente a Blade Runner o a certi scenari apocalittici di John Carpenter. Ma i riferimenti cinematografici si estendono a Kill Bill o ai film di Akira Kurosawa in cui il personaggio principale si trova a dover affrontare una schiacciante quantità di avversari.
Le regole sono semplici: basta subire un colpo per essere uccisi, basta (quasi) sempre un colpo per eliminare un nemico. Si inizia con una spada, una pistola e alcune mosse speciali, ma raggiungendo determinati obiettivi sarà possibile arricchire il nostro letale equipaggiamento. Il principale difetto di Akane al momento è il sistema dei comandi: si può giocare solamente con la tastiera e la disposizione predefinita non sembra la più comoda per eseguire ogni azione con la precisione e il tempismo necessari, nonostante il combattimento sia comunque molto fluido e la risposta ai comandi sempre veloce e impeccabile; inoltre non c’è alcuna opzione per modificare l’assegnazione dei tasti. Gli sviluppatori sono però al lavoro sul supporto per i controller, e questo potrebbe presto migliorare la situazione. Considerato anche il pezzo (3.29€), un giro è più che consigliato.
Gilles Nicoli ha provato Akane su Linux.
Football, Tactics & Glory
Croteam
Parlare Football Tactics & Glory non è facile. A un appassionato di giochi di ruolo lo descriverei come un mash up tra Fifa e XCOM, una definizione che non va bene per chi segue il calcio e concepisce i videogiochi come un’appendice della sua passione sportiva. A quest’ultimi direi: «Immaginate il campo da gioco come una scacchiera e i calciatori come i pezzi da muovere nelle caselle. Non avete a disposizione una mossa, ma tre. Correre o tirare sono appunto azioni e più i vostri giocatori sono forti, più le probabilità di successo di ciascuna azione aumentano». Il bello di Football T&G è che unisce due meccaniche di gioco molto distanti, che tendenzialmente si portano dietro due tipologie umane differenti. E cosa hanno in comune l’appassionato di giochi carta e penna e un ultras che passa le sue domeniche in curva sud? L’immagine non tiene conto delle sfumature intermedie, ma restituisce il mio imbarazzo nel trovarmi ancora una volta catapultato in queste maledette nicchie di internet e di mercato.
In Football T&G ogni giocatore ha un punteggio che determina la sua capacità di tirare, passare, difendere e controllare la palla, proprio come in Skyrim un numero influisce sulla capacità dei personaggi di evocare magie o di resistere ai colpi. Il parallelo con i giochi di ruolo resta valido nel caso delle abilità speciali, da sbloccare man mano che i giocatori salgono di livello, grazie all’esperienza che accumulano in campo. Tali abilità consistono in passaggi lunghi o filtranti, tiri più potenti o scivolate. I talenti, o specializzazioni invece operano fuori dal campo (un campione attira più spettatori), o nel campo ma in modo passivo (i difensori intercettano la palla durante il turno dell’avversario).
C’è poi un’altra componente di gameplay, che regola le partite di calcio vere e proprie. Il campo si trasforma in una griglia sulla quale è possibile riprodurre più o meno fedelmente le strategie che informano il gioco di squadra. Dopo numerosi fallimenti, ho chiesto al mio amico David come superare una difesa di cinque giocatori schierati davanti alla porta. Lui mi ha detto: «Prova ad allargarli con una punta grossa e forte in mezzo e tenendo i terzini larghi». All’inizio mi sembrava una strategia troppo contorta da esaurire in tre battute, poi ho notato che i difensori avversari si lanciavano sulla palla trattenuta sulle fasce dai miei centrocampisti, aprendo dei varchi in cui inserirsi con un passaggio filtrante.
E quindi io Football T&G mi sento di consigliarlo a tutti. Dopo 20 ore di gioco, posso dire che mi ha regalato una percezione più profonda delle dinamiche che governano il calcio. Capisco per quale motivo un giocatore infortunato o espulso sia un dito al culo per la squadra o perché un attaccante molto forte può fare la differenza. Football T&G è entrato nella mia libreria di Steam (lo si può acquistare da qui o dal sito ufficiale) da una nicchia, perché in fondo volevo un gioco di ruolo, eppure, a conti fatti, sono stato felice di aver imparato due o tre cose nuove sul calcio. All’opposto, potrebbe essere una piacevole scoperta per chi cerca l’ennesimo gioco sportivo ma si ritrova a fare i conti con scontri a turni, livelli, abilità. Non so cosa possa insegnare un gioco di ruolo a chi lo installa per la prima volta, magari soltanto che i GDR fanno schifo. Io credo che valga comunque la pena provare. Perché in un ambiente digitale in cui ci ritroviamo chiusi in bolle sempre più circoscritte e simili a noi, il fatto di poter confrontarci con qualcosa di sconosciuto, pur restando con un piede nella comfort zone, è un’opportunità interessante. Alla fine la nicchia è un limite per Football T&G solo finché lavora per sottrazione. Nel momento in cui costruisce un ponte tra gusti diversi, è anche il suo principale valore aggiunto.
Giuseppe Giordano ha provato Football Tactics & Glory su Windows.
Hellblade: Senua’s Sacrifice
Ninja Theory
All’alba dell’avvento dell’essere umano i confini erano più labili e la terra più soffice, lì dove l’immaginazione incontra il reale. Non è assurdo concepire quei primi istanti dell’esordio della specie umana come un conglomerato di opposti ancora tutti da definire. Sesso fluido, generi incerti, l’animale e l’uomo ancora vicini nelle pratiche sciamaniche. Il sogno e la materia divisi solo da una palpebra abbassata lenta e non sempre riconosciuta. Gli dèi camminavano sulla Terra. A maggior ragione, razionalità e follia erano ancora avvinti in un abbraccio fraterno. Così come, in quello stesso abbraccio, si muove oggi Hellblade: Senua’s Sacrifice. Prodotto da Ninja Theory, il gioco è un elegante e ammirevole esempio della potenzialità del mezzo videoludico.
Ben al di fuori dalla norma e, al tempo stesso, pienamente cosciente delle dinamiche del medium e della sua storia, il gioco prende le mosse da un trauma e da una domanda. Cosa succede alla mente, quando questa cede e perde del tutto i suoi confini? La protagonista, una guerriera vichinga, è reduce, forse, da un evento luttuoso. Il giocatore, con lei, è calato a forza in un sublime paesaggio tempestato dai suoni degli spiriti e della follia. Si gioca, e ci si circonda di voci che non smettono mai i loro commenti. Siamo l’uno nella testa dell’altra, diretti verso una meta oscura: le pieghe sinuose della mente. I palazzi lussuosi dove ancora oggi camminano gli dèi. Ma esistono davvero o sono solo una proiezione della mente? E siamo poi sicuri ci sia differenza?
Per tentare una risposta, gli autori si sono affidati ad un team di psicologi e neuroscienziati. Il risultato, enorme e rimarchevole per portata, contenuti ed estenuante bellezza (anche e soprattutto visiva e sonora), dimostra in pieno che quando si lavora e si scava, i riconoscimenti arrivano. Hellblade si è portato a casa ai Bafta Game Awards 2018, infatti, i seguenti premi: Audio Achievement, Artistic Achievement, Best Performer, British Game e Game Beyond Entertainment (quest’ultimo dedicato a chi va ben oltre il mero intrattenimento). Pare peraltro che, prima della fine dell’anno, non mancherà di vincerne altri. Perché ad un’esplorazione così ricca, affascinante e significativa dello scibile psichico e delle possibilità del mezzo, i premi e gli allori sono qualcosa in più che dovuti. A giocare, e scavare nella produzione del gioco, troverete un’overdose di meraviglie, sperimentazione e amore per il proprio lavoro. Non perdetevelo per nessun motivo.
Daniele Ferriero ha provato Hellblade: Senua’s Sacrifice su Windows.
Hunt: Showdown
Crytek
C’era una volta il profondo sud degli Stati Uniti. La nebbia gotica che aleggia alla periferia della civiltà. Là dove si muovono abomini, s’ambienta The Texas Chainsaw Massacre, il libretto dell’album Nola dei Down e alcune delle pagine migliori di Joe Lansdale. Più che una localizzazione geografica, un archetipo topografico e mentale, composto dai residui marci della cultura pop e trash occidentale. Da quaggiù, si immaginano gli autoctoni intenti (con grandi felici pregiudizi) ad accoppiarsi strenuamente a forza d’incesti e cannibalismo. Sia quel che sia, questi ambienti si gemellano a meraviglia con la progenie mefitica dei migliori incubi orrorifici e si prestano a dovere come cornice. In anni più recenti, e una variante nichilista, esistenzialista e poliziesca-thriller, è stato dimostrato a dovere dalla prima stagione di True Detective. Hunt: Showdown fa tesoro di tutto questo ben di dio e corre a far cassa.
Il gioco è una sorta di sparatutto in prima persona, player vs player, ambientato tra paludi e boscaglie, fienili e case abbandonate. Noi siamo dei cacciatori, mercenari dal sentimento westernato che, in squadre da due membri, si aggirano per questi meandri infestati alla ricerca delle creature demoniache e luciferine. Il nostro scopo è quello di “disinfestare” la zona e recuperare il tesoretto lasciato dai boss prima che altri mercenari intervengano a fare lo scalpo a noi o ai mostri. È una sorta di guerriglia, dove è più importante portare a casa la pelle che massacrare a destra e a manca. I nemici sono in esubero, noi siamo pochi, spesso scarsamente armati e non lo facciamo in nome di chissà quale gloria.
Il gioco, che nasce e cresce per l’online, si fa forte di quest’impostazione per creare degli scenari raggelanti e colmi d’inquietudine. Ci si sente davvero circondati dal Male, qui dentro. I meccanismi ulteriori, di permadeath, esorcismi, taglie, abilità speciali e miscellanea, lo rendono una tra le perle di puro intrattenimento del momento. Seppur ancora in fase di rodaggio, e non ancora ottimizzato a dovere, potrebbe essere una bella certezza dei prossimi mesi. Anche perché non è un semplice, e becero, battle royale e permette soluzioni tattiche e strategiche interessanti. Senza contare l’ineffabile bellezza di trovarsi con i fianchi a mollo in una palude, la luna alta nel cielo, ringhi striduli e sommessi tutto intorno e una morte violenta e inaspettata che piomba sul groppone.
Daniele Ferriero ha provato Hunt: Showdown su Windows.
Two Point Hospital
Two Point Studios
Mark Webley e Gary Carr hanno già cambiato una volta la storia dei videogiochi. Negli anni ‘90, lavorando a Bullfrog, crearono la Designer Series, portando il genere dei gestionali, che fino ad allora prediligeva scenari su vasta scala, come le città di SimCity o le reti ferroviarie di Railroad Tycoon, verso una dimensione più contenuta: quella di singole strutture, i parchi giochi di Theme Park o gli ospedali di Theme Hospital ad esempio, di cui il giocatore doveva occuparsi sotto ogni aspetto, dalla progettazione degli spazi all’assunzione del personale. Oggi il ritorno dei due sviluppatori con Two Point Studios somiglia a quello di vecchie rockstar che formano una nuova band e dimostrano di essere ancora i migliori interpreti possibili del sound da loro stessi inventato.
È una chiara dichiarazione d’intenti allora l’esordio del nuovo studio con Two Point Hospital, più che un seguito un vero e proprio remake del loro capolavoro Theme Hospital: chi conosce il vecchio gioco del 1997 farà presto qui a sentirsi a casa, costruendo le varie stanze dell’ospedale, assumendo medici e infermieri, piazzando macchinari, piante, cestini, termosifoni, panche, oggetti decorativi e distributori di snack e bevande in ogni angolo della struttura. Non mancano i miglioramenti e gli aggiustamenti tecnici che è lecito aspettarsi più di vent’anni dopo, e che riguardano la possibilità di zoomare e di ruotare la visuale isometrica, di spostare le stanze o di ammirare dettagliate animazioni di tutti i personaggi che animeranno i nostri ospedali.
Two Point Hospital presenta una varietà di nuove fantasiose malattie e relativi trattamenti, e tra pazienti che girano vestiti da clown (perché affetti da clownite), o con una padella incastrata sul cranio (cuoio padelluto), o con una lampadina al posto della testa (cefalea a bulbo), a volte sembra di gestire una clinica psichiatrica piuttosto che un ospedale, e il giocatore si trova a espandere e migliorare la propria struttura con il sorriso sulle labbra. Sono state rinnovate e rese più profonde anche le meccaniche che riguardano lo staff, e dunque oltre alla guarigione dei pazienti bisognerà occuparsi di ricerca scientifica, marketing e formazione del personale. I vari ospedali del mondo immaginario di Two Point County, nel quale gli sviluppatori hanno intenzione di ambientare altri titoli gestionali in futuro, introducono man mano meccaniche, sfide e obiettivi in un lento crescendo di difficoltà e, pur in assenza di una modalità sandbox, sono il grado di regalare molte ore di divertimento.
Gilles Nicoli ha provato Two Point Hospital su Linux.