Rassegna videoludica di maggio
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Rassegna videoludica di maggio

Homo Ludens torna in una nuova veste con i contributi dei redattori di Ludica, che a turno ci parleranno delle ultime novità che hanno avuto modo di provare su PC e console.   Conan Exiles Funcom   A pochi giorni dal lancio ufficiale, Conan Exiles mostra tutti i pregi di una strategia early access sfruttata […]

Homo Ludens torna in una nuova veste con i contributi dei redattori di Ludica, che a turno ci parleranno delle ultime novità che hanno avuto modo di provare su PC e console.

 

Conan Exiles
Funcom

 

A pochi giorni dal lancio ufficiale, Conan Exiles mostra tutti i pregi di una strategia early access sfruttata a dovere. Sfruttando il feedback di chi si cimenta col gioco da più di un anno, la Funcom ha rilasciato una versione ripulita dai bug più fastidiosi e ricostruita da zero nei suoi punti meno convincenti — come il sistema di combattimento, che adesso è più realistico e gratificante. L’intento della casa norvegese era chiaro: accaparrarsi una fetta del settore survival che rimane tra i più gettonati su Steam. Il prodotto finale offre tuttavia qualcosa in più, tra dettagli mutuati dai giochi di ruolo e un’ambientazione affascinante.

Certo, al primo impatto con Conan Exiles ci si assesta sui binari del survival più canonico, sullo stile di Ark: Survival Evolved suoi limiti compresi. Primo fra tutti la ripetitività delle azioni, e un certo senso di disorientamento. Ci ritroviamo crocifissi in mezzo a una landa ostile, nudi come mamma ci ha fatti, con lo stesso Conan il Barbaro che ci libera e ci spinge all’avventura. Da lì esploriamo il deserto (ma più avanti incontreremo giungle, montagne e caverne) e familiarizziamo col sistema di crafting, assai elaborato come tradizione del genere, mentre gli obiettivi di gioco ci guidano attraverso i primi passi: costruire un giaciglio, raccogliere materiali, cacciare animali e allestire un falò per cucinarne la carne, dissetarsi da una fonte, respingere i primi nemici. Nel giro di qualche ora, grazie alla buona curva di apprendimento, saremo in grado di tirare su una casa mentre nella modalità online potremo collaborare con altri giocatori per un’esperienza di gioco più pericolosa, ma anche più ricca. Da subito si intravedono le potenzialità di un titolo che ci porterà, con dedizione, a edificare cittadelle su cui regnare — e in cui ospitare, a seconda dei gusti, templi di devozione, fosse per cannibali, mercati di schiavi o feste orgiastiche.

 

 

Quest’ultimo punto ci introduce al piatto forte di Conan Exiles. Il mondo è fedele alle opere di Robert E. Howard, fin dall’editor iniziale che permette di scegliere tra etnie come Cimmeri o Hyboriani. È truculento, brutale, percorso da una certa vena sensuale — la nudità aiuta, e anche il fatto che le fibre muscolari degli ipertrofici personaggi siano più dettagliate delle espressioni facciali. In una parola, è un mondo vivo. L’unico metro di giudizio è la lotta, e ogni cosa ha il giusto prezzo — anche l’aiuto degli dei, che interverranno tramite un avatar, in cambio di un severo regime di preghiere e sacrifici. Le urla dei nemici e i lamenti delle femmine, per citare proprio Conan il Barbaro: questo è quanto offre Conan Exiles, innestato su una classica ossatura survival.

Andrea Cassini ha provato Conan Exiles su PlayStation 4.

 

Crossing Souls
Fourattic

 

Avete mai desiderato che uno vostri film preferiti tra i classici degli anni ‘80, magari Schegge di follia, I goonies o Stand by me ricordo di un’estate, fosse un videogioco? Beh, se lo fosse stato sarebbe somigliato molto a Crossing Souls, sviluppato dallo studio spagnolo Fourattic e pubblicato da Devolver Digital. Ambientato nel 1986, strapieno di riferimenti e citazioni pop in grado di spezzare il cuore ai più nostalgici, il gioco ci mette nei panni di cinque ragazzi che si trovano a vivere un’incredibile avventura nella loro cittadina californiana.

Unità di luogo dunque, ma con una trovata che moltiplicherà i livelli di realtà (come il sottosopra di Stranger Things o i diversi piani temporali di Dark, giusto per tirare in ballo due produzioni Netflix altrettanto legate a quel decennio). Il grado di immersione è notevole grazie alla splendida colonna sonora e alla cura di ogni dettaglio: i walkie talkie, le biciclette, la scuola, il cinema, la casa sull’albero, la tavola calda, la sala giochi, le bande giovanili — tutti gli elementi tipizzanti dell’immaginario anni ‘80 sono là dove ci si aspetta di trovarli, e danno vita a un mondo vivo, coloratissimo, perfettamente reso su schermo in pixel art.

 

 

Il gioco inizia mettendo insieme un gruppo di amici in una prima fase davvero ben scritta che funziona sia come tutorial che come introduzione al gruppo di personaggi giocabili, tutti molto stereotipati proprio come in quei film teen horror in cui è facile capire chi sarà il primo a fare una brutta fine; qui invece si capisce subito quale funzione potrà avere in seguito ogni personaggio: il protagonista servirà soprattutto in combattimento, l’unica ragazza del gruppo è agile e veloce e dunque molto utile quando sarà necessaria rapidità di esecuzione, l’amico forzuto e un po’ in sovrappeso riuscirà a spostare qualsiasi ostacolo pesante, mentre l’amico nerd e secchione consentirà di risolvere molte situazioni grazie a invenzioni e strumenti tecnologici, e poi c’è il fratellino più piccolo, di cui però è impossibile parlare senza spoiler.

Una volta messa in moto la storia, scopriremo una trama che a livello di gameplay è ben diversificata tra sezioni di combattimento, di puzzle solving e di platforming, e spesso per andare avanti sarà fondamentale capire in quale modo (e in quale ordine) è possibile utilizzare le abilità dei vari personaggi a disposizione per sbloccare l’impasse. Alcune perplessità restano sul lavoro di ottimizzazione, considerati i frequenti casi di framedrop in alcune aree, e sulla precisione dei controlli, che rendono frustranti soprattutto certe sezioni platform, ma non si tratta di difetti in grado di rovinare l’esperienza di gioco.

Gilles Nicoli ha provato Crossing Souls su Linux.

 

The Thin Silence
TwoPM Studios

 

Ezra non corre. A mala pena salta — nella lista dei comandi, il tasto è abbinato alla voce “Jump (a little)”, da intendersi letteralmente. Del resto, come dargli colpa: il nostro protagonista è apparentemente responsabile dalla rovina di un’intera nazione, a seguito di una rivoluzione finita male; il peso della responsabilità personale e delle perdite subite lo hanno gettato in una depressione profonda che si manifesta nei suoi movimenti alla moviola — il giocatore sperimenta in prima persona la fatica di rialzarsi e andare avanti tipica di chi ha sofferto una lunga depressione.

The Thin Silence è un gioco sulla rielaborazione: attraversando una wasteland di caverne, campi di rifugiati, basi militari abbandonate e vestigia di una cultura distrutta dovremo risolvere puzzle ambientali (sfruttando un semplice sistema di crafting tra gli oggetti dell’inventario) e collezionare fotografie, lettere, hackerare computer per sbloccare file, collezionare i frammenti di un benintenzionato pamphlet agitatore che ha però contribuito a un’annichilente Rivoluzione Culturale.

 

 

L’accattivante estetica pixel art e la colonna sonora ambient (rumori, static, melodie scarne) hanno indubbiamente il loro fascino, ma c’è qualcosa di non pienamente riuscito in questa fatica del duo australiano TwoPM. The Thin Silence presenta infatti alcuni tipici problemi degli indie che puntano tutto sul minimalismo: il gameplay è di base una pura ossatura che scommette su un totale coinvolgimento emotivo del giocatore. Questo comporta che tanto l’azione di gioco quanto la trama risultano come troncati, lasciati a metà, sineddochi che stanno per qualcosa che il giocatore non riceve mai del tutto.

Raccontare la trama per indizi anziché tramite esposizione è un’arte molto delicata, ed è facile toppare, soprattutto se si mette troppa carne al fuoco: tentando di mischiare temi importanti come depressione e responsabilità politica, TTS — nella sua brevità (5 ore ca.) — sembra prendere troppe scorciatoie argomentative senza averne la maturità sufficiente. L’esperienza è più interessante per le sue ambizioni che non per il prodotto finale, ma val comunque un tentativo se vi sorride l’idea di un titolo veloce basato su rompicapi con suggestivi ambienti 2D.

Giorgio Chiappa ha provato The Thin Silence su Mac.

Ludica
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