Behind Comic Sans. Le ragioni di un odio profondo
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Behind Comic Sans. Le ragioni di un odio profondo

Il Comic Sans appare per la prima volta nel 1994 nei fumetti dell’interfaccia di supporto Microsoft Bob di Windows 3.1, viene poi incluso nei font di default di Windows 95. Dobbiamo la sua nascita a Vincent Connare, un font designer del Massachussest impiegato della Microsoft.

C’è tutto un mondo. Sul serio.
Questa storia comincia a New York. A essere precisi, da un’immagine che attraverso la rete è arrivata da New York a Garbatella, sullo schermo del mio computer. Si tratta di una fotografia che ritrae uno degli ultimi lavori che Banksy ha incluso nel progetto Better out than in. Una scritta spigolosa in stile hip hop-tag recita This is my New York Accent. Un’altra sotto commenta in un corsivo ordinario Normally I write like this. Nello spiegare l’opera dell’artista su un articolo redatto per Collater.al avevo definito il font dell’ultima chiosa come «un cugino molto prossimo del Comic Sans».

Ebbene, tra i commenti all’articolo, uno in particolare era permeato da una certa indignazione: il Comic Sans non c’entra veramente nulla, mi è stato detto. Ora, non avendo l’occhio del grafico né del tipografo professionista, non sono in grado di riconoscere il nome del font di una scritta sul muro a prima vista. Così come in musica esiste l’orecchio assoluto esisterà al giorno d’oggi l’occhio assoluto, e io non ho mai millantato di possederlo. Tuttavia non si trattava semplicemente di questo. Il fatto è che avrei potuto dichiarare quella scritta «cugina molto prossima» dell’Arial, del Cambria, del Times New Roman. Ma non del Comic Sans. Non lui. Perché c’è tutto un mondo dietro, fatto di faide, rancori, lotte intestine per la contesa di contesti e contenuti da aggiudicarsi. Un mondo che si divide in sostenitori e acerrimi nemici di quello che –lungi dall’essere un semplice font tipografico- viene a costituirsi come una vera e propria filosofia di vita.

Nella foto: Vincent Connare.
Il Comic Sans appare per la prima volta nel 1994 nei fumetti dell’interfaccia di supporto Microsoft Bob di Windows 3.1, viene poi incluso nei font di default di Windows 95. Dobbiamo la sua nascita a Vincent Connare, un font designer del Massachussest impiegato della Microsoft che all’epoca del concepimento era poco più che un ragazzo-padre di trentaquattro anni. Fin qui, tutto regolare. Da varie dichiarazioni rilasciate ai media, questo font mirava soprattutto al target dell’infanzia e sarebbe servito ad aiutare i più piccoli a familiarizzare con l’oggetto computer, che negli anni Novanta stava cominciando a fare capolino in tutte le case. Una sorta di Carosello del mondo cibernetico, per intenderci. Ma cosa è andato storto allora? Quello che si critica del Comic Sans non è tanto il fatto che esista quanto l’utilizzo che a partire dalla sua comparsa ne è stato fatto. La diffusione dei computer a metà anni Novanta è stata percepita in modo estremamente ambiguo: erano oggetti professionali, ma piuttosto facili da usare, a tratti divertenti, ma non erano videogiochi. Tuttavia potevano essere usati anche come videogiochi. A metà anni Novanta i primi personal computer erano favole per adulti che hanno portato una strana euforia e senso di ringiovanimento a professionisti di mezza età che hanno iniziato a prenderci gusto nel sentirsi spiritosi, svecchiati dai loro colletti bianchi della settimana lavorativa. Questo è stato Comic Sans: prima di tutto una rivoluzione sociologica. Non ci sarebbe stato niente di male se si fosse limitato ai blog di messenger delle sorelle minori o agli inviti cartacei in forma di assegno del compagno di classe di undici anni-quasi dodici. Il problema è che adulti troppo giovanili hanno esagerato e il Comic Sans è diventato emblema della Fiera del Casual, una tappa che inevitabilmente conduce a Circonvallazione Kitsch e Lungomare Word Art, popolato di scritte ondeggianti in 3-D color piscina comunale.

Nella foto: Max Miedinger.
I più acerrimi nemici del Comic Sans spesso coincidono con la categoria sociale costituita dai fan dell’Helvetica. Da un confronto fotografico tra i due creatori dei font è facilissimo percepire le due tipologie umane che ne conseguono: se la comitiva di Vincent Connare è piena di simpaticoni amanti del venerdì casual, fumetti di Capitan America e birre ghiacciate sorseggiate sul divano davanti al Superbowl, gli amichetti di Max Miedinger – padre di Helvetica- probabilmente si divertivano nel tempo libero a selezionare esseri umani di razza pura per assicurare un mondo migliore una volta che il Nuovo Ordine si fosse stabilito.
Se Comic Sans è pop, fumetti, blog, messenger, Helvetica è minimalismo, Bauhaus, Fendi, Kodak, metropolitana di New York. Il problema è stato quando Comic Sans si è preso confidenza, ha alzato la cresta, ha fatto fuori dal vaso quello che proprio non doveva fare. E allora: ecco le ricerche universitarie redatte con lo stesso font della festa erasmus; ecco i documenti ufficiali della Casa Bianca simpaticamente atti a dichiarare guerra a qualche Stato X con – tra le righe – la raccomandazione di «non prendersela troppo sul personale». Poi c’è stato il Vaticano, che pure ha usato il Comic Sans come ultima spiaggia per rendere appetibile anche ai giovani la carrellata degli highlights di Benedetto XVI una volta ritiratosi in pensione. Infine, ultimo ma non per importanza, l’intervento sulla particella di Dio presentato da una scienziata al CERN di Ginevra lo scorso 2012, redatto appunto in Comic.
L’indignazione è comprensibile, ma è impressionante quanto sia popolosa la comunità di haters e detrattori che sul web si è adoperata in vere e proprie campagne contro il più simpaticone dei font. Due graphic designers americani, Dan e Holly Combs, sono i promotori della comunità che ruota attorno al blog Ban Comic Sans e insieme si adoperano con performance e merchandising di protesta. Il 5 dicembre del 2012 si perfino è portato a termine un progetto chiamato Comic Sans Must Die. Si trattava di un tumblr che ospitava quotidianamente delle gif che dalla A alla Z hanno distrutto l’intero sistema di segni tondeggianti e rassicuranti del Comic Sans. Le lettere, rese spigolose o disciolte come dopo un bel bagno ristoratore nell’acido bollente, restano raccolte oggi in un archivio flickr perché possano valere da monito a tutti i font giocosi che tendono a prendersi troppa confidenza.
«Se lo ami» – ha dichiarato Connare- «Non sai molto di tipografia. Anche se lo odi non sai davvero molto di tipografia, e dovresti trovarti un altro hobby».
In realtà la querelle dovrebbe spostarsi dalla superficialità delle fazioni in lotta, uscire fuori dalla sineddoche che se la prende con il font piuttosto che con gli users e organizzarsi per andare sotto casa di quelle persone che del Comic Sans fanno uso improprio.
Ciao impiegato della banca che scrivi mail in Comic Sans per avvisarmi che il mio conto è in rosso. Ciao docente universitaria che mi mandi indietro il saggio dicendo che non è abbastanza approfondito. Ciao addetto alle risorse umane che mi avvisi che il mio cv sarà preso in considerazione, prima o poi. Ecco la cruda verità: non siete più giovani da tempo. E non siete neanche mai stati simpatici. Il Comic Sans invece sarà giovane e simpatico per sempre. Lunga vita al Comic Sans.

Olga Campofreda
Vive a Londra, dove ha conseguito un PhD in Italian studies (UCL). Come ricercatrice si occupa di rappresentazione della giovinezza e romanzo di formazione, controcultura e culture giovanili. È autrice della monografia “Dalla Generazione all'Individuo: giovinezza, identità, impegno nell'opera di Pier Vittorio Tondelli” (Mimesis, 2020) e del reportage narrativo “A San Francisco con Lawrence Ferlinghetti. Viaggio oltre la Beat Generation” (Giulio Perrone Editore 2019). I suoi articoli sono apparsi su Doppiozero, minima&moralia, Ultimo Uomo, Zarina newsletter, La Balena Bianca, Dude Mag. Collabora con il Festival of Italian Literature in London (FILL). Lavora per la nazionale di scherma della Gran Bretagna.
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