Ecco, poi un’altra cosa dei tempi che cambiano è questo fatto che oramai è il libro che segue il film o la serie tv. Non viceversa. Se nel Mondo-Prima i film erano tratti da o liberamente ispirati al celebre romanzo di, nel Mondo-Dopo (dopo l’Encarta, dopo Napster, dopo c6 e via crescendo in velocità) a serie tv di successo corrisponde senza dubbio opera cartacea ben venduta. Penso a tutto il collaterale materiale del post Harry Potter o agli spin-off sottoforma di diario segreto dei personaggi dei Cesaroni. Penso al libro sui viaggi nel tempo diffuso in rete dopo il lancio del film Donnie Darko. Penso al prossimo 30 settembre, il giorno dell’esordio letterario di Lena Dunham, 28 anni, regista, attrice e sceneggiatrice di tre (quasi quattro) stagioni di Girls, indie-serie rivelazione degli ultimi anni targata HBO.
Not That Kind of Girl esce per Randomhouse negli Stati Uniti e in Inghilterra il prossimo 30 settembre. Si tratta della raccolta di saggi a cui spesso il personaggio Hannah Horvath (che interpreta Lena Dunham, che interpreta Hannah Horv…) fa riferimento nella serie tv. Dove comincia la realtà e dove la fiction? Dove si tratta di marketing, dove di ispirazione? Per abbattere la muraglia di diffidenza che è stata allestita per accogliere questa seconda opera prima in ambito letterario, la Dunham non ha voluto il solito book tour di reading e presentazioni in libreria, ma ha ben pensato di allestire vere e proprie conferenze con guest star del calibro di Zadie Smith e Mary Karr seguite da lezioni di scrittura creativa volte a divulgare l’idea che ogni donna che scrive è portavoce di un atto politico.
Nella serie tv la Dunham interpreta Hannah Horvath che interpreta Lena Dunham in un mix combinato dall’ottanta percento di autobiografismo e un restante venti di nudità. Uno degli aspetti che hanno infatti reso celebre la reginetta dell’opera indie newyorkese è stato il modo insistente e disinibito con cui si è ostinata a mostrare il proprio corpo sullo schermo. Un atteggiamento politicamente impegnato, a suo dire, in quella che da molti è stata definita ‘quarta ondata di femminismo’: valorizzare la donna in quanto donna e non in quanto corpo; ma anche: la sensualità è qualcosa che si trasmette a partire dalla sicurezza in se stesse. Nuovi comandamenti per tante ragazze della generazione 2.0, un mucchio di idiozie per altrettante persone che hanno visto le immagini della stessa artista ritoccate e rifinite sulle copertine dei giornali di moda. Mai come in questo caso mettersi a nudo ha attirato tale valanga di opinioni contrastanti.
È stato detto di lei anche che il suo successo sia stato facilitato dalla famiglia di artisti facoltosi e ben piazzati dalla quale proviene (madre fotografa, padre pittore, tutti e due tanto amici del produttore HBO Judd Apatow). Nessuno può metterlo in dubbio. Il problema con un’artista come Lena Dunham, tuttavia, è che per quanto si cerchi di demolirla a oltranza alla fine non c’è nessun attacco che tenga. È vero, è stata photoshoppata su Vogue (ma se ne legga il contesto!), è vero, è figlia d’arte e ha avuto un po’ di porte spalancate (e allora?) ma ha indiscutibile talento. Del maledetto talento che risponde da solo a tutte le obiezioni che le vengono mosse, principalmente dalla fascia più conservatrice della critica. Ciò significa che Lena Dunham è, in un certo senso, l’avanguardia.