Il volante nello spazio
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Il volante nello spazio

Torna “Racconti notturni”, la nostra rubrica cupa e crepuscolare.

Il giorno del suo esame scritto di guida J. si accorge che il messo della motorizzazione ha l’apparecchio acustico: fino in fondo alla fila lo si sente ripetere «Ecco tenga e buon inizio di guida!»; ha anche il nero sotto le unghie, quello che in genere hanno i vecchi al paese che fanno gli artigiani, o quelli che a settembre puzzano come avvinazzati perché fanno la vendemmia.

Quando arriva il turno di J., prende il foglio rosa senza ringraziare e gli fissa quelle dita secche e rugose terrorizzato, poi di scatto esce fuori. Ci mette pochi minuti ad arrivare a casa. Nella tromba delle scale del palazzo c’è odore di fritto e la signora Angela vede J. salire i gradini a due a due mentre spazza il suo lato del pianerottolo. Allora lo abbiamo passato questo esame? A J. la signora Angela non piace: puzza di roba cotta, di mobili umidi, di paraffina. Non gli va di fermarsi a parlare con lei, perché gli accarezza sempre i capelli con quelle sue mani callose e puzzolenti che hanno fatto la pastella della frittura dalla mattina presto. Si limita a sventolare il suo trofeo di carta e prosegue al piano di sopra con l’affanno e la fretta di aprire la porta e annunciarlo.

«Il volante si chiama così perché ti solleva da terra» diceva nonno Guido «non tutti se ne accorgono, e pensano di starsene tutto il tempo attaccati all’asfalto. Quando sarai grande tu sicuramente te ne accorgerai». J. è un po’ pazzo come il nonno, dicono, ma sono quei pazzi che non danno fastidio a nessuno aggiunge sempre zia Carla. A J. dà solo fastidio essere toccato, e in verità non gli è mai sembrata una cosa così strana. La gente si tocca senza motivo e spesso lo dice pure che è una formalità prescindibile: quella stretta di mano troppo intensa, quell’odore di sudore durante un abbraccio, anche mamma si lamenta spesso quando la toccano, però mamma è normale e quindi può.

Ma in questo momento a J. non importa niente di niente. In questo momento ci sono solo lui e il suo foglio rosa spaziale. Ora J. può finalmente provare a librarsi a bordo della sua vecchia Citroën C1.

Entrando in cucina lo urla a mamma e a zia Claudia: ce l’ho! Ce l’ho! Mentre urla, J. va avanti e indietro per la cucina di otto metri quadri, che sembra quasi un corridoio e dentro ci si sta stretti già in due. Va avanti e indietro perché l’importante è muoversi e le parole di zia Claudia nemmeno le ascolta, allora la mamma gli si para davanti senza toccarlo, è così veloce da calcolare gli spazi, e gli dice solo: ricorda che i guidatori più bravi sono quelli prudenti. J. ha qualche anno in più di diciotto, sa cosa deve fare, non come sua mamma che scambiava il freno con l’acceleratore. Si ferma e lo dice: Io conosco il posto delle cose, è importante che le cose stiano dove devono stare perché tutto funzioni.

Non sarà sua madre ad accompagnare J., e nemmeno zia Claudia: l’esperta è Tonia. Tonia ha la pelle liscissima che quando cammina sotto il sole lo riflette, gli occhi verdissimi e porta sempre un giubbino grigio riflettente che la fa sembrare una pilota spaziale.

«Non iniziare a sparare cazzate e fammi vedere come usi la frizione ok?»
La partenza va liscia, J. toglie lentamente la Stan Smith dal pedale, cerca di essere graduale, di non “strappare”. Il lessico della guida lo confonde un po’. Sono solo immagini e verbi o troppo tecnici o troppo comuni ma riadattati, e i riadattamenti a J. non piacciono, lo confondono e assomigliano un po’ alle metafore.

Tonia ha uno smalto rosa shocking che a J. piace tantissimo. Il fatto che lei usi solo colori molto appariscenti non lo disturba, la trova una cosa attraente, da donna decisa. Tonia sarebbe stata la compagna perfetta in un futuro distopico, avrebbe potuto combattere qualsiasi androide. E poi adorava davvero la Sci-fi. Avevano passato interi pomeriggi a scambiarsi opinioni sugli Urania comprati alla bancarella del paese, e in quei momenti J. si era convinto che forse lei si divertiva davvero a fargli compagnia il pomeriggio, che non era solo per i soldi che le dava zia Claudia. Era già diventato buio e nonostante tutte quelle luci dei lampioni, le insegne dei negozi e i fanali delle auto si confondessero in più raggi diversamente direzionati agli occhi miopi di J., la sua solita ansia notturna sembrava non arrivare. Era quella sensazione di pericolo imminente che lo aveva spesso travolto nei periodi più tristi, quelli in cui era costretto a prendere le gocce disgustose. La sensazione che gli oggetti fermi in realtà si muovessero, che ogni angolo nascondesse un assassino, o un autotreno che lo avrebbe travolto a tutta velocità, o un cane randagio con la bava alla bocca. Lui non avrebbe mai lasciato che queste cose compromettessero la sua capacità di guidare. Lo aveva deciso, quel giorno che era andato a compilare i moduli alla motorizzazione: era un pomeriggio, mamma e zia Carla si erano trattenute oltre la messa per un mercatino di beneficienza.

Mentre guida piano per le stradine strette del paese a un certo punto J. sente tutta l’adrenalina della prima guida con la P attaccata dietro alla Citroën C1 abbandonare rapidamente il suo circolo sanguigno, ed ecco che torna il solito panico: all’incrocio che stanno per raggiungere J. ha la precedenza, ma sa che qualcuno dimenticherà di fermarsi allo Stop e arriverà dritto come un razzo, arriverà per prenderli in pieno, per bucare la fiancata della sua auto scatoletta.

J. inizia a sudare freddo, avanza di qualche metro lungo la strada piena di buche rattoppate con l’asfalto più scuro. Ecco che le macchine parcheggiate a lisca di pesce ai lati della strada accendono una a una i loro fanali e iniziano tutte insieme a muoversi indietro verso la Citroën C1 di J. Vogliono tutte uscire. Ma che cazzo fai?!  gli urla Tonia mentre fa ruotare con energia il volante. J. prova a calmarsi, a tornare lucido: la guida non è roba per me continua a ripetersi e procede senza aver più chiaro il percorso da fare.

Al lato della rotatoria, la signora Angela che esce dalla chiesa della Madonna Addolorata: ha la bocca spalancata e fissa J. con sguardo vitreo, e dietro di lei le vecchine in nero, le loro camminate sbilenche; anche loro sono paralizzate, le rughe come incise, ma J. non capisce cosa guardino. Tonia non è incazzata, è seduta con le gambe distese, non lo rimprovera più.

J. si guarda il grembo: all’improvviso si è trasformato, è solo un bambino, i suoi piedi non arrivano ai pedali, le sue braccia fanno fatica a girare. Sa di non poter guidare, ma è un’emergenza, Tonia non risponde, Tonia ha bisogno di un medico, la sua guida spaziale… la macchina entra nel cortile del palazzo, come fosse un’estensione del suo corpo, come se ormai non potesse più uscirne. Eppure la gente intorno è indifferente, la strada di casa è sempre quella, e J. anche se è un bambino conosce perfettamente come percorrerla, nessuno si accorge di lui. Imbocca la via di casa, entra nel cortile ed ecco che di nuovo tutto si muove: l’ascensore è in funzione ma non si ferma, J. lo intravede dal portoncino della scala aperto e dalle finestre. Va su ma nessuno scende, riparte subito, arriva fino al piano terra e poi di nuovo su. Se non può salire in ascensore con la sua auto, che ormai è lui, che ormai è un ragazzo automobile, dovrà spegnere il motore e fare le scale. Tonia intanto si è fatta minuscola, il suo giubbotto d’argento sembra un ninnolo caduto per caso sul sedile del passeggero da un bracciale o una collana, una borchia dei jeans. J. fa per raccoglierla, senza spegnere il motore. Alla finestra c’è zia Claudia, e J. le fa cenno di scendere, ché lui non può proprio girare la chiave, non può proprio staccarsi dalla sua automobile appendice… Ma zia Claudia ha gli occhi vitrei come quelli della signora Angela, guarda verso un altrove che J. non conosce, che non è lo spazio stellare né quello tangibile del cortile. Zia Claudia però non ha la faccia paralizzata, muove le labbra di continuo e scandisce bene la parola come quelli che al tg spiegano le notizie ai sordi: P.A.U.R.A.

 J. si guarda attorno, Tonia ormai un cecio tra le sue mani cicciotte da bimbo, inserisce la retromarcia, raggiunge il centro esatto del cortile, entrando nell’aiuola con i gerani e i cespugli di bosso. Quando retrocede sente tutto, i graffi sulle lamiere come fossero sulla sua pelle, i rami che si spezzano come fossero sue ossa: certo zia che ha paura, non ha dimenticato che a guidare viene la paura, come ha potuto anche solo pensare di esserne capace, di non fondersi come sempre con tutta la materia attorno, organica o inorganica che sia. J. sente tutto, se lo tocchi sente ancora di più. Quando piange, piange le lacrime di tutto il suo condominio, della sua cittadina, piange con il messo della motorizzazione con il nero sotto le unghie e con la signora Angela; ora lui ha trascinato tutti con sé, nel suo vortice di dolore infernale, ha voluto attraversare la città, le cui vene sono le strade, i globuli rossi le automobili, e i palazzi organi impazziti, e la città gli si è avvicinata per diventare un’unica grande macchina del dolore. Mentre piange, la Citroën C1 perde olio a fiotti e J. inizia a scivolare sulla ghiaia del cortile. Tiene stretta Tonia nel pugno e con l’altra mano prova a mantenere salda la presa sul volante, ma invano: non ha più nessun controllo, le ruote scivolano e fanno oscillare la Citroën C1 in uno slalom folle a destra e a sinistra e a J. viene solo da vomitare, e vorrebbe vomitare sul foglio rosa per non poterlo usare mai più. Ma quando abbassa il finestrino si accorge di essere ad almeno quattro metri da terra. Ecco che Tonia riprende forma, si gonfia, è tutta giubbotto, la Tonia in carne e ossa non si vede più. Si vede solo questo giubbotto argentato che riflette la luce come la carta stagnola, che è splendente come la pelle di Tonia, e che diventa sempre più gonfio e inizia a uscire dalla Citroën C1, ed esce dal finestrino e si gonfia ancora, sopra e sotto, dappertutto, e alla fine diventa una navicella spaziale: Tonia è una navicella spaziale, e J. il ragazzo che la deve guidare, e il nonno aveva ragione, se si chiama volante deve pur saper farti volare.

«Tonia sono così contento che sia tu, la mia Tonia 2000-e-qualcosa, perché i modelli spaziali hanno sempre un numero di serie che è almeno duemila o addirittura…»

Ma J. non finisce nemmeno di parlare che scorge in fondo al pannello di comando il nome del modello in cui si trova: P.A.U.R.A. 5000-6X.

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Copertina di Pink Lodge

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Se anche tu hai un tuo racconto della notte scrivi a Federica Sabelliracconti@dudemag.it

Valeria Marzano
Classe '95, vive a Roma e studia filosofia. Cerca continuamente vie di fuga ed ama i contenuti in low qual.
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