È uscito “L’ora solare” e noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con Tommaso Di Giulio
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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È uscito “L’ora solare” e noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con Tommaso Di Giulio

È uscito “L’ora solare” il nuovo disco di Tommaso Di Giulio.

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Ti abbiamo già intervistato 2 anni fa con l’uscita di Per fortuna dormo poco, cosa è successo nel frattempo?

Circa un centinaio di concerti tra Italia e Europa; un sacco di nuovi lavori paralleli alla musica o totalmente extramusicali che mi hanno offerto punti d’osservazione nuovi, interessanti e spesso inaspettati; parecchi viaggi, anche brevissimi ma molto intensi, e la voglia di fare un disco diverso dal precedente, di esplorare nuovi territori, magari rischiando un po’ di più, allontanandomi da qualsiasi precedente comfort zone.

Il tuo nuovo disco si chiama L’ora solare, perché?

Perché è principalmente un disco che parla di paradossi, di dualità e dualismi, di scelte opposte e radicali, di contraddizioni e bivi. Cerco di spiegarmi meglio: immaginiamo di non sapere cosa significhi istituzionalmente il concetto di “ora solare”.

Se qualcuno ce ne parlasse ci verrebbero in mente, letteralmente, o sessanta minuti di sole, o quantomeno un’ora d’allegria, solare per l’appunto. Tuttavia l’ora solare vuol dire l’esatto opposto, in quanto fa buio prima e si dorme un’ora in più, allontanandoci da immagini diurne e soleggiate e portandoci più a fondo nella notte.

Quindi si tratta di un concetto che comprende al contempo due significati opposti. 

Il disco gioca proprio su questo, sia a livello testuale che musicale, si fonda sull’accostamento o la fusione di opposti apparentemente inconciliabili che invece producono, o almeno quello è il mio intento, un qualcosa di nuovo dall’incontro/scontro. 

Non a caso una delle mie ossessioni è il cercare di confrontarmi con materiali nuovi, mischiare le carte e, a volte (lo dico?) sperimentare pur mantenendo come obbiettivo l’accessibilità. Non mi interessa essere ermetico ma nemmeno raccontare a chi ascolta cose che già sa.

Già che ci sei spiegami anche l’illustrazione sulla copertina, chi è l’autore?

L’autore della copertina, di cui sono molto contento, si chiama Davide Bastolla alias BASTAnimotion, un’artista e videomaker (ha realizzato anche il video del mio primo singolo Dov’è L’America? assieme ad un’altra bravissima artista che si chiama Marta Gargano) che ha lavorato già con molti musicisti della scena romana (e non) e con cui avevo già avuto il piacere di avere a che fare per mio primo disco autoprodotto, Tutto Il male vien per nuocere

Il concept originale, che Davide ha sviluppato a mio avviso in modo perfetto, parte da un mio sogno che ancora una volta riconduce ai concetti di paradosso e doppia lettura.

Il personaggio che campeggia al centro dell’inquadratura è una creatura ibrida, un alter ego in cui molti si possono riconoscere: un’uomo pesce (o un pesce uomo) tanto a disagio sulla terra quanto nel mare ma che conserva lo stesso un atteggiamento leggero nei confronti della vita, curioso e al contempo un po’ disilluso, fiero di essere un outsider e orgoglioso della sua, seppur problematica, diversità. Dalla luce che brilla in cima alla sua testa sembra espandersi una spirale ma allo stesso tempo non è chiaro se, al contrario, sia proprio lui che fa luce per farsi strada all’interno della spirale. E in che verso ruota la spirale? Decidetelo voi.

È dunque un paradosso visivo che gioca anche con gli stilemi delle illustrazioni lisergiche anni ’60 e ’70 che amo molto e che secondo me funzionano ancora meglio e appagano sguardo e cervello senza l’assunzione di alcuna droga. Almeno oggi, che come dice Battiato “l’LSD non lo fanno più come una volta”.

Chi ti ha ispirato principalmente nella scrittura di L’ora solare?

Essendo un album particolarmente variegato nell’accostamento dei generi in cui mi sono concesso molta libertà nel comporre la scaletta definitiva (ci sono ad esempio un pezzo a metà tra i Dinosaur Jr. e gli Interpol che convive con un brano che si rifà alla musica da camera) non saprei ricondurre davvero tutto a poche fonti d’ispirazione. Sicuramente molto ha influito il mio incontro con il chitarrista e cantautore Francesco Forni, che mi ha accompagnato durante tutta la lavorazione dell’album curando assieme a me gli arrangiamenti. Francesco è un musicista di una sensibilità rara e preziosa che, tra le altre cose, mi ha sopratutto insegnato il valore dell’essenzialità. L’Ora Solare è quindi un disco molto più diretto.

Sicuramente, anche in questo caso, hanno avuto forse avuto più peso le mie visioni rispetto ai miei ascolti. Durante l’anno di lavorazione che ha prodotto Per Fortuna Dormo Poco – che oggi, risentendolo associo al garbo determinato dei colori pastello – mi ero ubriacato di cinema italiano anni ’60 e ’70 e secondo me si sente, mentre nel nuovo album si respira (o spero che si respiri) più un’aria di frontiera, dai confini indeterminati. Avendo viaggiato più spesso del solito credo che si senta che è un album on the road, anche perché comunque è stato scritto spesso in viaggio e registrato in tanti studi diversi, passando da Roma, la Sicilia, Milano fino ad arrivare a Berlino e Londra.

Dimmi la frase del nuovo disco per te più importante.

Domanda tostissima. Anche perché non sono mai stato bravo a scrivere testi buoni per le t-shirt, da cui estrapolare una bella frase a effetto. Quindi, dunque… Ho serie difficoltà a scegliere tra «Cercavo un’arma per battere il tempo e quella sei tu» e «Gli ultracorpi hanno infestato la nazione e tra i superstiti il dibattito si fa all’aperitivo».

Ma, ripeto, la scelta tra quattordici brani e venti pagine di libretto per contenere i testi… È dura.

Dove ci consigli di venirti ad ascoltare?

Spero di suonare in tutte le regioni durante questo tour, alcune col precedente non siamo riusciti a raggiungerle. Quindi consiglio alle persone che ameranno questo disco di chiamarci a gran voce invitandoci a suonare da loro. Ovunque.

Imminente è la presentazione dell’album al Teatro Quirinetta di Roma, abbiamo chiamato il fuochista dei Rammstein a darci una mano con gli effetti speciali, venite!

Il tuo disco è blu e nero o bianco e oro?

Giuro che non so di cosa tu stia parlando. 

Come stanno i membri della tua band, gli vuoi bene?

Benissimo. Sono sempre, ormai da cinque anni, gli ottimi Simone Empler, Stefano Vaccari e Andrea Freda e sono, fino ad ora, uno dei principali motivi per cui continuo a voler fare questo mestiere con il sorriso. Andare in tour con loro ti fa dimenticare o passare sopra ad un sacco di scocciature o delusioni.

Raccontaci una storiella divertente per concludere l’intervista.

Posso girare la domanda a qualche band o cantautore membro del culto della simpatia? Sto provando a smettere. 

No, aspetta, dai. Ancora non ho venduto abbastanza dischi da permettermi l’antipatia: dunque…  Sto per inaugurare un museo del “gadget a forma di fenicottero”, poiché da quando ho scritto il brano In confidenza mi capita spesso che mi si regali oggetti a tema “flamingo”. Attualmente dispongo di: due paia di bacchette-fenicotteri per il sushi, un ukulele-fenicottero, un set di guarnizioni-fenicotteri per cocktail, un’orologio-fenicottero, un peluche, varie edizioni del dvd di Pink Flamingos di John Waters (capolavoro!)  e un paralume-fenicottero. Su alcuni gadget ho il dubbio che si tratti di cicogna ma a caval-fenicottero donato non si guarda in becco.

Valerio Coletta
Giocatore di basket e hockey sul prato. A 12 anni ha incontrato Alberto Angela al McDonald. Ha fondato Bookskywalker e scrive in giro.
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