Intro
Qualche giorno prima di Pasqua ho incontrato Marcello a New Cross, un distretto a sud di Londra che conoscevo soprattutto per due motivi: la sede dell’università Goldsmith e un favoloso take away giamaicano un po’ lurido che se non ti ammazza te lo ricorderai per sempre. Pensavo a questa intervista da qualche mese più o meno, probabilmente dall’inizio dell’inverno, da quando cioè avevo saputo del trasferimento di Marcello da Roma e l’intervista sarebbe stata proprio su questa cosa qui del trapiantarsi altrove, del come ci si sente con un altro posto addosso. Gli avrei chiesto di Londra e della gente di Londra, poi meglio ancora, della gente che non è di Londra e sosta qui solamente di passaggio, della musica che cambia insieme ai luoghi. Gli avrei chiesto questo e quello ma poi un giorno lui si è messo a suonare tre canzoni sul divano di casa mia e ha detto che erano quelle del nuovo album.
Quando lo incontro a New Cross prima di Pasqua è una giornata di sole bellissima e Marcello dice guarda facciamo una cosa, ti faccio ascoltare tutto l’album nel giardino di casa. Prima magari però ci fermiamo a mangiare qualcosa dal giamaicano.
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“Una domenica al mese” è il primo singolo tratto dal nuovo album
Il nuovo disco dei Marcello e il mio amico Tommaso esce il prossimo 26 ottobre per Noia dischi. È il secondo dopo Nudità (42 Records) e il primo con le chitarre elettriche registrate, voci comprese, in presa diretta. Il nome è un sacco rischioso: Un Amore. Ma è proprio questa dimensione grunge-adolescenziale quasi DIY a fungere da salvavita antiretorica. Piuttosto, come il sentimento, ascoltare questa seconda prova della band è un’esperienza primordiale e diretta.
Il nome di questo disco a tratti ha rischiato di sostituire il nome della band. Nasce da una fissa pazzesca che ho avuto per il romanzo [omonimo] di Dino Buzzati, in cui si racconta di questa relazione impossibile tra un cinquantenne e un’adolescente. Si parla molto di gelosia, possessività. Chiaramente non mi sono mai trovato in questa posizione, questi sentimenti non mi appartengono particolarmente, eppure dall’inizio alla fine la storia d’amore è sempre presa sul serio dal narratore. A un certo punto, ricordo, è stato chiesto a Buzzati perché scrivesse d’amore. La risposta che ha dato era quasi scontata: è la cosa più importante che c’è. Questo è quanto è successo nel nostro disco. È vero, nel parlare d’amore il rischio di retorica è alto. Devi stare attento, il terreno della canzone d’amore pop è super battuto. Io ammiro tantissimo persone come Niccolò Contessa, che spazia anche su diversi terreni. Nel caso dei Marcelli ho anche un po’ sviluppato una fissa maniacale su questo argomento, ma per adesso va bene, perché non ho esaurito quello che ho voglia di raccontare.
Riguardo la retorica, di fatto le uscite più belle sono quelle più ambigue. È come nel caso del Valzer del martedì sera, nel disco precedente. Ci sono due narratori, lui ha un rapporto abbastanza sano con l’eros e lei no. Lui deve vivere col senso di colpa di voler scopare e sentirsi un mostro perché lo vuole, lei invece deve vivere col senso di colpa di non volerlo fare e non poter scegliere. Qui c’è un’ambiguità morale. Ci si fa del male a vicenda ma non è neppure colpa loro. Questo è il vero territorio della tragedia.
Nell’ ascoltare le dieci tracce tutte di seguito, Un Amore si rivela subito nella sua dimensione di concept album. La storia è narrata da due voci che sono anche i due punti di vista di lei (Adelaide Albinati) e lui (Marcello Newman).
Scrivo molto per narratrici, molte delle cose che scrivo sono narrate da donne. Onestamente credo di avere un’identità di genere piuttosto ambigua ma non saprei spiegartelo meglio. Questo disco è fatto da due naratori che ripensano a questa storia ormai finita da un pezzo. Mi serviva che parlasse anche la donna, certo, ma con Adelaide il discorso è diverso, perché lei è perfetta per mille motivi. È molto intensa e composta, ma sotto la compostezza si intuisce un sacco di dolore e di verità.
Nelle canzoni dei Marcelli le donne sono sempre più disincantate degli uomini. Come mai questa scelta?
Hai ragione, ma in questo disco accade di meno. In Nudità usavo la narratrice come mia controparte autodistruttiva. Di fatto per darmi del coglione, sdrammatizzare certi miei atteggiamenti. In Un Amore si tratta di un personaggio vero e proprio.
La nascita della ‘scena indie romana’ ha cambiato il tuo modo di fare e pensare alla musica?
Il successo dei Cani, theGiornalisti, Calcutta hanno dato l’idea che non solo la scena indie romana esiste ma si può arrivare a un pubblico che non è di quella scena. Da un giorno all’altro è cambiato il mercato. Non ho cambiato modo di fare musica, ma sicuramente ho capito che il mio pubblico avrebbe potuto essere più vasto. In ogni caso il pubblico è più intelligente di come lo si dipinge, il pubblico se ne accorge se dici le cazzate. Per questo, nella transizione dai Jacqueries ai Marcelli è stato utile per me passare all’italiano.
Come è avvenuto questo passaggio?
Mi è stato suggerito da Niccolò Contessa. Il primo LP dei Marcelli era in inglese. Non mi sentivo molto rappresentato dai testi che stavo cantando. Mi stavo un po’ addolcendo. Passando all’italiano mi sono dovuto costringere ad essere un po’ più cinico, forse anche esagerando quella parte di me. In italiano mi sono trovato a fare i conti con il fatto che molte più persone mi avrebbero capito nell’immediato, non te la senti nella tua lingua a dire qualcosa di falso. I testi di Nudità, oltretutto, erano molto più narrativi dei testi dei Jacqueries, raccontavano di cose successe in italia, in Italiano. Sarebbe stato strano per me raccontare tutto questo in inglese. Sarebbe suonato falso. Con questo non sto negando la possibilità per un gruppo italiano di cantare in inglese, ma questa è la mia esperienza.
Mentre registro la nostra intervista Marcello mi fa ascoltare le tracce del disco non ancora complete dal suo computer. Quando mancano gli archi lui li imita con la voce, mi indica quando una parte dovrebbe essere di Adelaide nella registrazione definitiva. Un Amore è infatti un progetto costruito in quattro anni, un arco di tempo in cui i membri della band raramente sono riusciti a vivere nello stesso luogo (mentre scrivo questa intervista Marcello è a Londra, Adelaide a Roma e Tommaso a Dresda). Ascoltiamo insieme la traccia numero 4, “Una domenica al mese”.
L’impressione è sempre più grunge, un grunge suonato da bambini che non riescono ad essere cupi o arrabbiati abbastanza, eppure genuini e diretti.
In Nudità non ci sarebbe mai stato un ritornello così. C’è molto rimpianto in questo disco, ma soprattutto nostalgia. Un desiderio sottile molto profondo di qualcosa o qualcuno. In inglese c’è un verbo specifico che è to long. Longing. Non c’è una parola equivalente in italiano. Questa canzone comincia in la minore e finisce con la coda in maggiore, un’allusione non verbale che sa di rimpianto, anche se contrasta con il verso in cui il narratore dice ‘non ricordo per niente di averti fatto bene’.
Ho fatto enormi sacrifici per questo disco qui. Mi ha totalmente demolito una relazione durata un anno. È senz’altro finzione, ma questo disco racconta in modo maniacale ed ossessivo di una storia d’amore finita più di sei anni fa ed è quasi spirituale (la sola cosa sacra in cui ho mai creduto). Pensa a quanto può essere difficile stare in una relazione con qualcuno che scrive queste cose e accettare che non sono per te. Ti serve il distacco per capire che è finzione.
Lo stesso vale per Non è il top, che nel disco è diventata la numero 3. Nel ritornello c’è la voce di lei che ripete: gli anni di merda che torno ad amare.
Capisci adesso il mood di questo disco? C’è una canzone però che rende tutto il nostro album obsoleto, That summer feeling di Jonathan Richman. (that summer feeling is gonna haunt you one day in your life/ that summer feeling is gonna hurt you…).
C’è molto longing anche nella tua vita?
Devo ammettere di essermi ritrovato spesso in passato a essere nostalgico dei Jacqueries, della mia vita a Roma, di una ragazza con cui sono stato. Ho superato questa cosa quando ho capito che la nostalgia è data da qualcosa che mi manca adesso, e allora devo combattere per proiettarmi nel futuro. Il passato è dannoso…
Scusa se ti faccio ascoltare tutta questa roba. Questo è il pezzo che chiude il disco, l’ho registrato qua a Londra con Angelos. Questo è cosa succede quando quella nostalgia, quella tristezza profonda la superi.
[parte l’ultima traccia del disco, La ferrovia, una bellissima ballata per voce maschile che prende le distanze dal passato guardando attraverso il finestrino di un treno n.d.a.].
Quando dal computer di Marcello parte la traccia successiva, la riconosco subito. Era una di quelle canzoni che aveva suonato mesi prima sul divano della mia cucina in Downs park road. Chi è Neko Case [il secondo singolo tratto da Un amore]?
È una cantante country che a me piace moltissimo. È il primo pezzo che ho scritto quando mi sono trasferito a Parigi e ho ricomprato la chitarra. Ascoltavo a stecca Neko Case, però ascoltavo anche i Magnetic fields, che sono ad oggi il mio gruppo preferito, e …. Ti devo far sentire una cosa. Un pezzo in particolare. [Marcello cerca sul computer una traccia in particolare, dopo qualche secondo parte My only friend dei Magnetic fields n.d.a.]. Lui canta di Billie Holiday, io avevo cominciato col tradurla, ma poi è diventata un’altra cosa.
«Salvami anche questa volta Neko Case». Da cosa ti deve salvare esattamente?
Quando cominci ad ascoltare musica da teenager, è super importante nella costruzione della tua identità. Tu sei la musica che ascolti e ti identifichi in una sottocultura, ne hai bisogno. Qui il concetto Neko Case è un po’ quella cosa lì, posso rifugiarmi solo nelle canzoni tristi, un rifiuto della vita adulta, della vita reale, un ritrovarsi in questa dimensione immaginaria che è Neko Case.
Cos’è che non va nella vita adulta?
Tutto. Che si smette di fare le cose per la prima volta per dirne una. La responsabilità. Ma anche l’etica del lavoro, che mi fa schifo, un motivo per cui mi piace l’Italia, ma anche il motivo per cui me ne sono andato, purtroppo, perché non sono poi completamente così.
L’immediatezza e il sound genuino di questo disco colloca i Marcelli in una dimensione ambigua tra l’infanzia e il passaggio alla vita adulta. Hai difficoltà a immaginarti da adulto?
No, in realtà, perché so che voglio fare dischi per sempre. Idealmente mi vedo a cinquant’anni, probabilmente con un lavoro noioso, un box affittato in cui ho una batteria dei microfoni, amplificatori e piano, mi vedo a fare i dischi così.
Avevo un prozio che scriveva libri su cose che gli interessavano tipo la storia dell’albero di Natale o la genealogia della famiglia, li faceva rilegare in cinquanta copie e li dava agli amici e ai familiari.
Quali sono i credits per un lavoro come Un Amore, che ha preso forma nell’arco di quattro anni?
Ho imparato moltissimo dai miei amici. Da Catenaro (Jacqueries), dal mio amico Dan, da Alex (Jacqueries), da Niccolò (Contessa). Non sono geloso del mio processo creativo, ogni volta che ho una demo la mando a molte persone e quelle persone mi sanno consigliare o mettere in crisi su quello che sto facendo. Ho imparato moltissimo. Per me è stato ed è importante avere dei maestri reali, come anche dei critici occasionali. Una volta un promoter, dopo un concerto a Firenze, mi ha dato del finito perché sono uno che balbetta, una settimana dopo ho deciso che il prossimo disco sarebbe stato registrato in presa diretta. Ringrazio anche lui. Il disco è pieno di stonature, pieno di fuori tempo, pieno di errori, ma è bello per quello. La musica che mi piace, molta della, è piena di errori. L’errore è super importante, perché errare è umano, suonare bene no.