Ninja Tune ha pubblicato oggi Love Songs: Part Two, il secondo album di Romare. È uno dei dischi più belli dell’anno, ed è l’ideale continuazione dell’EP Love Songs: Part One uscito nel 2013 per un’altra etichetta, Black Acre.
Romare è un progetto del producer inglese Archie Fairhurst, e la scelta di questo nome è la storia di un’epifania: anno accademico 2008/2009, Archie segue all’università un corso riguardante la cultura visiva afro-americana, e scopre le opere di Romare Bearden; rimane impressionato in particolar modo da quelle appartenenti alla fase in cui l’artista si dedicò alla tecnica del collage: Bearden ritagliava foto su riviste e giornali, attingendo tanto dalla storia quanto dall’attualità, e le inseriva poi su sfondi da lui dipinti o disegnati. Le sue composizioni erano una combinazione di materiali preesistenti e di creazione pura, che mescolava frammenti di realtà e immaginazione. Archie all’epoca aveva già iniziato a suonare e a scrivere musica, e soprattutto a estrarre campionamenti dalla vasta collezione di dischi dei suoi genitori; il collegamento fu immediato: non c’è forse nulla che sia così vicino al sampling quanto il collage. Nel 1964, dopo aver lavorato su questo nuovo stile, Romare Bearden presentò i suoi primi collage in una mostra chiamata Projections, che è anche il titolo dell’album di debutto di Romare, uscito lo scorso anno.
Romare Bearden, Jazz Village 1967
La prima cosa che colpisce di Projections, ancora prima di iniziare ad ascoltarlo, è la copertina, realizzata dallo stesso Romare, indovinate, con la tecnica del collage. Ci sono disegnate tutte le sue fonti: musicisti e compositori a cui appartengono i sample usati nei vari pezzi inclusi nel disco. La stessa cosa accade con la copertina del nuovo Love Songs: Part Two. Inizia ad essere chiaro che quello di Romare è innanzitutto un tributo ai musicisti che ama e con i quali è cresciuto. Ma è anche una rielaborazione artistica completa e personale. I suoi dischi non nascono con un progetto già chiaro in mente, e il sound comincia a definirsi durante il processo creativo, influenzato dalle fonti utilizzate. Projections diventa così un omaggio alla musica prodotta oltreoceano, ed è un disco che suona in effetti molto americano, pur ricordando sempre all’ascoltatore le origini dei generi musicali campionati, come già faceva, più esplicitamente, il suo primo EP, Meditations on Afrocentrism (che contiene lo stesso sample usato dai Chemical Brothers in It Began In Afrika). Alcuni omaggi sono spesso riconoscibili fin dal titolo dei brani: Motherless Child è una variazione sullo spiritual Sometimes I Feel Like A Motherless Child; Work Song è una variazione sull’omonimo standard jazz composto da Nat Adderly, fratello minore del più famoso Julian “Cannonball”; ancora, Nina’s Charm, Ray’s Foot e Jimmy’s Lament sono dediche a Nina Simone, Ray Charles e Jimmy Reed; The Drifter è un omaggio al chitarrista di strada Snooks Eaglin. Se nel processo compositivo è evidente l’impostazione accademica, c’è una chiara dimensione politica nella scelta di riportare alla luce registrazioni di musicisti neri spesso dimenticati, e di far rivivere nell’elettronica contemporanea il gospel, il jazz, il blues, la spiritual music. Tornare alle origini e reinventare.
Non ci sono tanti artisti in circolazione, hip-hop escluso, a basare così tanto la loro produzione sui sample. Si tratta di una tecnica rischiosa: dal punto di vista legale si perde velocemente il conto dei casi finiti in tribunale, a partire dai Beastie Boys fino ad arrivare a Jay-Z; una delle controversie più famose mise contro i Verve e il manager dei Rolling Stones a causa del campionamento della versione orchestrale del brano The Last Time usato in Bittersweet Simphony, e alla band di Richard Ashcroft toccò rinunciare al 100% delle royalties della propria principale hit. Mick Jagger e soci invece passarono all’incasso delle entrate garantite da una canzone che in realtà aveva poco a che spartire con qualsiasi cosa avessero mai scritto. Dal punto di vista artistico, è invece spesso questione di sensibilità: si può passare dalla creazione di un album mitico come Endtroducing di DJ Shadow, di cui giusto quest’anno si è festeggiato il ventennale con una ricchissima deluxe edition uscita ad ottobre, all’accusa di appropriazione culturale, tema molto sentito negli Stati Uniti, mossa ad esempio a Moby, che in Play ha inserito le registrazioni dell’etnomusicologo Alan Lomax in un prodotto pop perfetto, dall’enorme successo commerciale, capace di diventare il primo disco nella storia i cui brani siano stati tutti concessi in licenza per colonne sonore cinematografiche, show televisivi o spot pubblicitari.
Anche Romare nel realizzare Projections ha spesso avuto l’impressione di dover modificare qualcosa, o di dover escludere un brano dalla scaletta, proprio per via di sample troppo rischiosi, ed è per questo che Love Songs: Part Two è stato scritto con l’intenzione di usarne di meno, nonostante l’abbondanza di materiale a disposizione per un concept come l’amore, e di fare sempre le scelte meno scontate. In ogni caso selezionare i sample è solo la prima parte del lavoro: in una grande stanza del suo appartamento, trasformata in studio, Romare registra tutte le altre tracce che gli servono, suonando basso, chitarra acustica, sintetizzatore, drum machine, percussioni. A questo punto entra in scena il Romare in veste di producer, che edita e unisce queste tracce e i sample, andando a comporre i brani che verranno infine pubblicati. Crescendo e migliorandosi nel tempo, come mostrano i dieci pezzi del nuovo lavoro: nella gestione delle pause, dei cambi di tonalità, nella ricchezza della strumentazione e nella varietà delle scelte stilistiche, basti pensare al punk funk di Who Loves You?, primo singolo estratto.
Quello che rimane sempre straordinariamente costante è il calore dei suoi brani, l’eleganza incredibile, il senso del ritmo. Se il suo prossimo tour lo porterà ad esibirsi dal vivo anche in Italia, sapete già cosa fare.